Se domani non torno e altre storie tossiche

I giorni passano e ancora non ci si riesce a farsi una ragione di quello che continua a succedere nel nostro Paese.

L’omicidio di Giulia Cecchettin, uccisa dal fidanzato che tutti avevano inizialmente definito “un bravo ragazzo”, pare aver risvegliato ancora una volta un’ondata di proteste. Questa volta, però, sembra molto diverso.

Solo quest’anno in Italia sono state uccise 105 donne, un numero che fa spavento anche perché nella maggior parte dei casi i femminicidi sono stati perpetrati da mariti, compagni, fidanzati o ex. Quando ci si chiede perché questo ancora avviene e perché dobbiamo preoccuparci, forse basterebbe guardarsi un po’ intorno per capire che banalmente la cultura patriarcale è ancora molto radicata in Italia. 

Anche quest’anno ne abbiamo avuto esempi lampanti, a partire dall’ormai ex compagno della premier Giorgia Meloni, Andrea Giambruno, che suggerisce che “se non ti ubriachi, il lupo lo eviti”. 

Fosse così facile, mio caro Andrea. Come facciamo a spiegarti che il lupo nella maggior parte dei casi te lo ritrovi in casa, proprio dentro al tuo letto? Come possiamo farti capire che all’inizio sembrava così carino, così tenero, e che poi quei piccoli segnali che forse abbiamo rifiutato di vedere diventano drammi di tutti i giorni?

La verità è che nel corso del tempo le donne hanno avuto un’estrema difficoltà nel capire quanto di tossico fosse ormai presente attorno a loro, tanto ormai da aver pervaso l’intera società. La cosa buona è che le generazioni più giovani sembrano avere intuito, in qualche modo, che è importante tutelarsi dagli elementi tossici che li circondano.

Qui non si parla solo di amore, o presunto tale. Parliamo di lavori tossici, di persone tossiche, siano esse fidanzati, amici o persino i propri genitori; parliamo di tutto ciò che è fa male ed è per noi veleno. La parola tossico viene infatti dal greco τοξικόν, che significa “veleno per la freccia”. 

Ci hanno fatto credere che dobbiamo abituarci alla tossicità. Che farà sempre parte delle vite di ognuno di noi, perché è impossibile scappare da un lavoro tossico, da una relazione tossica, da amicizie tossiche. Ci hanno spinti a pensare che le parti dolorose, che ci avvelenano, siano fasi necessarie del percorso che porta alla vita adulta, e della vita adulta in sé. 

Dovremmo probabilmente per questo imparare dalle nuove generazioni, che stanno crescendo imparando a curarsi della propria salute mentale, ad esternare la propria sofferenza, a lasciare un lavoro se troppo stressante e troppo mal pagato. Ma la verità è che la generazione Z non conta nulla al di fuori di sé. Meno che mai in un Paese dove l’età media della popolazione è di circa 49 anni. 

Chiediamoci perché i politici non si occupano dei giovani che invece dovrebbero ricevere incentivi, nuove opportunità di lavoro sicure, supporto e assistenza, di fronte ad un’economia ancora scossa dallo strascico della pandemia e dalla crisi energetica. La risposta è fin troppo banale: perché non sono tanti. Anzi, sono fin troppo pochi. La denatalità è un problema a cui si pensa di dare risposta con sussidi una tantum, ma è una questione fin troppo strutturale per essere risolta così. 

La più grande paura di chi non fa più figli perché non vuole è anche quella di lasciarli ad un mondo incerto, senza prospettive, caratterizzato da crisi cicliche che si distanziano sempre meno nel tempo tra loro. Ma non si può non considerare che è piuttosto diffuso nei Paesi più avanzati avere meno figli: le donne lavorano come gli uomini e ritengono di avere meno tempo per portare a termine una gravidanza.

I giovani sono però la linfa essenziale del nostro futuro: sono coloro che garantiscono il progredire del progresso tecnologico essenziale a migliorare la qualità della nostra vita; questo non è affatto scontato se lo vediamo dal punto di vista ambientale, proprio perché ormai è evidente come ridurre le emissioni nocive da solo non basterà ad evitare il rischio che il cambiamento climatico distrugga il nostro pianeta.

Allora perché non permettere a tutti questi giovani che ogni anno attraversano i mari o si mettono in viaggio su strade piene di pericoli per fuggire da Paesi nei quali sanno di non avere futuro? Perché non riusciamo a renderli parte integrante della nostra società e ad accettarli? Perché pensiamo che il diverso sia brutto e cattivo?


In un Paese di vecchi, se così possiamo definirlo (spoiler: pensiamo proprio di sì), forse dare un po’ più ascolto ai giovani, renderli partecipi, imparare da loro potrebbe essere la via per allontanare almeno un po’ di tossicità. Per vivere liberi dal veleno e in un mondo più sereno.

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