“La luce nell’abisso” di Neige Sinno

La luce nel’abisso si può trovare, se si ha il coraggio di cercare, di scavare, di conoscere il proprio dolore e di guardarlo in faccia. Ogni giorno. Proprio come ci si guarda allo specchio. In un paesino della Francia meridionale alle pendici delle Alpi nascono Rose e Neige, due bambini che hanno i nomi delle favole. La loro famiglia non è particolarmente agiata e si sbarca il lunario come si può, affinché alle bambine non manchi nulla. La famiglia vive così ai margini del bosco poco lontano dal paesino, ma – si sa – raramente le difficoltà corroborano, bensì spesso portano alla separazione. Mamma e papà si separano e le bambine seguono la giovane mamma. Questa presto si innamora di Lui. Chi è costui? Un uomo forte, duro e aspro come la montagna, ma in ciò risιede il suo fascino. Lei presto si innamora e Lui va a vivere con Lei e le bambine. Costruisce una casa (che rimarrà sempre incompleta) nel bosco, ancora più lontano dalla civiltà, nido della famiglia ricostituita. Nello scantinato incompleto, nel retro del negozio, nella disadorna stanza da letto durante l’assenza della madre, e in molti altri luoghi, la piccola Neige subirà gli abusi sessuali del patrigno. Li subirà per molti anni, finché adolescente non comincerà a raccontarli e quasi ventenne troverà il coraggio di sporgere denuncia. Triste Tigre racconta questo abisso e lo sforzo quotidiano e sovrannaturale di trovare la luce in questo abisso, seppure la luce rimane oscura e non vi è traccia di alcuna fede nella letteratura: la scrittura non è salvezza, ci ricorda Sinno. L’autore e il personaggio sono la stessa bambina-donna, Neige Sinno scava nella sua storia con la precisione di un bisturi e taglia gli eventi senza alcuna pietà. L’intelligenza della Sinno ritrae i ricordi, i traumi con la potenza ancestrale dei bambini che si chiedono il perché, ma da adulta sa che trovare una risposta è difficile. Forse impossibile. La vittima resta vittima, il “perché” della violenza, la banalità del male sono forse domande poco interessanti rispetto alla malìa del carnefice. Le immagini sono crude, le riflessioni incessanti, potenti. Il viaggio nell’abisso, devastante.


Ritratto del mio stupratore – Perché anche a me, in fondo, sembra più interessante quello che succede nella testa del carnefice. Con le vittime è facile, tutti riescono a mettersi al loro posto. Anche se non si è vissuto niente del genere, un’amnesia da trauma, la paralisi, il silenzio della vittima, tutti riusciamo a immaginare cos’è, o crediamo di poterlo immaginare. Con il carnefice invece è un’altra cosa. Essere solo in una stanza con una bambina di sette anni, avere un’erezione al pensiero di quello che si sta per farle. Pronunciare le parole che indurranno quella bambina ad avvicinarsi, mettere il proprio sesso in erezione nella bocca della bambina, fare in modo che la spalanchi bene. Questo sì che è davvero affascinante. Va al di là della comprensione. E poi c’è il resto, dopo aver finito, rivestirsi, tornare alla vita di famiglia come se niente fosse. E una volta che quella follia è accaduta, rifarlo, per anni e anni. Non parlarne mai con nessuno. Credere che non ti denunceranno, nonostante la progressione degli abusi sessuali. Sapere che non ti denunceranno. E quando un giorno ti denunceranno, avere il fegato di mentire, o il fegato di dire la verità, di confessare addirittura. Ritenerti ingiustamente punito per avere preso degli anni di prigione. Reclamare il diritto al perdono. Dire che sei un uomo, non un mostro. Poi, dopo la prigione, uscire e rifarti una vita. […] Trent’anni dopo, qualche considerazione sul trauma – Un giorno ho capito che tutto quanto, stupro, infanzia, famiglia, era finito. Adesso potevo andarmene e vivere la mia vita. Ho creduto di essere libera. Ma non si è completamente mai liberi, perché niente finisce per davvero, e se diventiamo qualcun altro, anche la parte buia prosegue imperterrita. Lui non c’era più. Non poteva danneggiarmi. Io potevo uscire Non poteva più danneggiarmi. Io potevo uscire nel mondo, incontrare persone, parlare, ridere, senza che lui venisse mai più a riprendermi. Peccato che è, ovunque andasse, in qualunque momento, io giravo la testa e vedevo la sua ombra. Le persone che non hanno familiarità con l’argomento si immaginano che uno stupro reiterato per anni abbia delle conseguenze principalmente sulla sessualità della vittima. Pensano che chi ha vissuto quell’esperienza probabilmente abbia poi dei problemi nelle relazioni sentimentali o nella vita sessuale. Sì, certo, spesso per noi è così, anche se in realtà per chi sopravvive ad abusi sessuali il problema della sessualità è l’ultima delle preoccupazioni. Come è stato detto, lo stupro è più una questione di potere che di sesso. Se non si tiene in considerazione questa componente, non si riesce a cogliere il fenomeno del suo insieme. Nell’articolo precedentemente citato in cui si parla della violenza come valvola psichica Nicolas Estano, psicologo clinico, consulente presso la corte d’Appello di Parigi, spiega che lo stupro “più che essere principalmente l’espressione di un desiderio sessuale, è in realtà l’utilizzo della sessualità agita al fine di esprimere questioni come la potenza o la rabbia. Si tratta pertanto di un atto pseudosessuale, di un insieme di comportamenti sessuali che hanno a che vedere più con lo status della persona, con l’ostilità, il controllo, il dominio, che con la sensualità o il soddisfacimento sessuale”. La predazione sessuale non è legata tanto al piacere fisico quanto alla relazione di dominio, cioè di potere. Il predatore sceglie questo tipo di aggressione perché è un modo di dominare, di assoggettare l’altro che oltrepassa le altre forme possibili di abuso. Lui esercitava su di me un onnipotenza che per tutta la durata dello stupro gli dava la sensazione di essere un superuomo. Poteva decidere della mia vita e della mia morte. C’è un momento preciso in cui gli aggressori incarnano, con folle godimento, quell’identità di mostro che poi tutti loro rifiutano. Essere un mostro, una volta che la società vi guarda, significa essere un subumano, ma quando nessuno vi vede vale il contrario, siete un re.

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