QVANDO C’ERA LVI… e altre bufale fasciste

Non è un mistero che il DVCE e il suo entourage abbiano costruito un’impalcatura mitica piuttosto resistente, la cui statuaria presenza riesce ancora oggi ad abbindolare buona parte d’Italia, che servendosi di leggende e bufale, cerca di riabilitare il nonriabilitabile

LVI ha bonificato l’ItaGlia. – La lotta ai luoghi paludosi è stata lunga secoli: iniziata già in età romana, proseguita nel Quattrocento dal papato, si protrasse senza risultati definitivi fino al 1905, quando fu varata la norma alla base di tutta la legislazione per le zone malariche nel Novecento. La questione era un’imperdibile vetrina di propaganda: il tema perfetto per la narrativa di regime. Il fascismo avrebbe riconquistato il suolo malarico, rendendolo fertile e produttivo. Il 30 dicembre 1923 venne varato il testo unico sulle bonifiche, che riuniva in una sola norma tutti gli interventi legislativi precedenti. Mussolini non inventò nulla, ma unificò le iniziative esistenti per poi prendersi il merito della loro attuazione. 

Quando c’era LVI i treni erano sempre in orario. – Di fatto, non ci sono prove  di ritardi dei treni in epoca fascista. Ma questo fatto è perfettamente in linea con la politica di controllo dell’informazione. Quando, nel 1931, venne approvato il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza fu resa ufficiale l’idea di «offesa al prestigio dello Stato o dell’autorità o offensivi del sentimento della nazione». Tutte le notizie, pertanto, che potevano costituire un insulto al prestigio dello Stato vennero silenziate: scandali, inadempienze, disservizi pubblici, come i casi di malasanità o, appunto, i treni in ritardo.

Il ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels aveva carpito il segreto dell’informazione (almeno di quella totalitaria): «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, e diventerà una verità».


Come dargli torto?

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