Il Mediterraneo tra passato, presente e futuro: una (breve) analisi geopolitica

Quando si parla di mar Mediterraneo non si può che pensare innanzitutto a come gli antichi lo hanno per secoli percepito. Il Mediterraneo veniva già infatti dai Greci considerato come “mare nostro”, epiteto che verrà poi ripreso dai Romani – venne appunto per lungo tempo chiamato “Mare Nostrum” e considerato come una vera e propria proprietà, oltre che snodo cruciale per le rotte commerciali da quel momento in avanti. Ma quali sono stati i momenti più importanti per il Mediterraneo? Cosa succede oggi? E quali prospettive future si possono presagire?

La costruzione del Canale di Suez: il turning point per il Mediterraneo

Senza tralasciare il periodo che va dall’antichità all’Ottocento, sicuramente altrettanto importante, la svolta che ridiede al Mediterraneo la centralità, in parte persa a causa della diversificazione delle rotte commerciali, fu senza dubbio l’apertura del Canale di Suez. Il Canale, opera di una compagnia francese, venne inaugurato il 17 novembre 1869, ed era posseduto in maggior parte dai francesi (spettava loro oltre il 50% delle quote), mentre il khedivé d’Egitto (titolo conferito dal sultano ottomano al governatore del Paese), indirettamente dipendente all’epoca dall’Impero ottomano, possedeva le restanti azioni. Una minoranza di tali azioni spettò poi agli inglesi, che da lì si mossero per non perdere la superiorità a livello commerciale. Approfittando delle difficoltà finanziarie del khedivé, il governo inglese riuscì infatti ad acquistare le quote di quest’ultimo, guadagnando una posizione di forza nella gestione del Canale e di fatto estromettendo gli egiziani dal controllo del commercio che passava attraverso di esso.

L’importanza strategica del Canale di Suez era abbastanza chiara ai Paesi europei: il suo utilizzo permetteva infatti di evitare la circumnavigazione del continente africano, rendendo più agevole il commercio con zone del mondo fino ad allora estremamente difficili da raggiungere, prima fra tutte l’Asia. Quest’ultima costituiva al tempo il centro degli interessi inglesi, con particolare riferimento al subcontinente indiano, perla dell’impero britannico e dalla quale partiva la maggior parte delle merci di importazione inglese.

Il Mediterraneo nel Novecento: il rinnovato interesse europeo e le dispute coloniali

Agli albori del Novecento per le potenze europee il controllo del Mediterraneo era ormai un dato di fatto: grazie al Canale di Suez e al dominio esercitato sui Paesi del Nordafrica garantito dalle colonie francesi, inglesi e italiane, i Paesi europei poterono garantirsi una crescita economica senza precedenti. La loro sete di potere li portò tuttavia a scontrarsi per ben due volte in conflitti di portata globale: le due Guerre mondiali. Il Mediterraneo e i Paesi che vi si affacciavano furono teatro delle più sanguinose battaglie: si ricorda, fra le tante, la celeberrima battaglia di El-Alamein dell’ottobre-novembre 1942, svoltasi sul territorio dell’attuale Libia (allora ancora formalmente divisa in Tripolitania e Cirenaica). Sembrò dunque che l’area nella sua interezza potesse perdere definitivamente la sua importanza di centro dei commerci internazionali. Questa impressione venne anche influenzata dall’avvio del processo di integrazione europea, che nacque, appunto, con l’intento di abbattere le barriere commerciali tra Paesi per agevolare il traffico di merci tra gli Stati del continente.

Le conseguenze della guerra, il processo di decolonizzazione e gli eventi della Guerra fredda dovettero tuttavia smentire ogni pronostico in merito.

In primo luogo, dopo la sconfitta dell’Italia durante la guerra, il trattato di pace con essa stipulato prevedeva esplicitamente la perdita delle colonie conquistate prima della guerra. A nulla valse l’impegno del governo per farsi concedere almeno il controllo sulle colonie acquisite in epoca prefascista: anche quelle vennero definitivamente sottratte al controllo italiano, inclusa la Libia, la quale era stata presa di mira dall’Unione Sovietica che intendeva farne un protettorato. Solo dopo qualche tempo, considerata l’impossibilità di gestire le rivolte che si erano verificate tra il 1948 e il 1949 sul territorio somalo, all’Italia venne concessa, sotto l’egida delle Nazioni Unite, la possibilità di amministrare temporaneamente la Somalia fino al raggiungimento dell’indipendenza (ottenuta nel 1960).

In secondo luogo, la Seconda guerra mondiale aveva fatto nascere, nei popoli assoggettati al dominio coloniale, la consapevolezza dei loro diritti. Essi avevano infatti combattuto a fianco delle truppe regolari dei Paesi colonizzatori e avevano contribuito in maniera determinante ai successi ottenuti sul campo di battaglia. Questo portò dunque a maggiori rivendicazioni, le quali sfociarono direttamente nei processi che li avrebbero portati all’indipendenza. Nel Mediterraneo questo ebbe importanti ripercussioni, anche direttamente legate alla fruizione del Canale di Suez. 

L’Egitto infatti, nel 1952, fu teatro di una rivoluzione (la cosiddetta rivoluzione dei colonnelli), con la quale venne instaurato un regime di impronta militare, guidato dal generale Neguib. Nel 1954 a Neguib succedette Nasser, anch’egli proveniente dai ranghi militari e intenzionato a rendere l’Egitto la guida di una rivoluzione panaraba. Sotto la sua guida gli egiziani riuscirono a stipulare un accordo con il governo inglese, che prevedeva la dipartita delle ultime truppe britanniche rimaste sul suolo egiziano entro due anni. Alla scadenza del periodo stabilito, Nasser annunciò la nazionalizzazione della Compagnia del Canale, di proprietà ormai quasi esclusivamente britannica. Ciò suscitò grande preoccupazione in particolare nei Paesi europei, che temevano per le conseguenze che questo passo avrebbe avuto sulle rotte commerciali che passavano attraverso il Canale. Non solo i traffici erano fonte di apprensione: la nazionalizzazione era stata infatti accompagnata da un avvicinamento, da parte del generale egiziano, verso l’Unione Sovietica, con la quale aveva stretto un accordo per la fornitura di armi che sarebbero provenute dalla Cecoslovacchia, direttamente controllata dai sovietici. I contatti con i sovietici misero in allarme il governo statunitense, dal quale Nasser era riuscito a farsi promettere ingenti finanziamenti per la costruzione della diga di Assuan, fondamentale per l’approvvigionamento idrico del Paese. Alla notizia dell’accordo sulle armi, gli statunitensi decisero di tornare indietro sui propri passi, suscitando l’ira del leader, che per tale motivo si rifiutò di partecipare alla conferenza degli utenti del Canale che si sarebbe svolta nell’agosto del 1956 a Londra. Di fronte all’incapacità di portare Nasser al tavolo dei negoziati, i governi francese e inglese decisero di intervenire sfruttando Israele, che dietro pretesto attaccò, nell’ottobre dello stesso anno, l’Egitto; nel giro di qualche giorno, a tutela dei propri interessi nell’area, anche Inghilterra e Francia si unirono al conflitto, che vide l’Egitto perdere la penisola del Sinai e che si concluse con un cessate il fuoco sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Quale futuro per il Mediterraneo?

Il Mediterraneo ha continuato  ad essere rilevante anche durante il resto del Novecento in quanto snodo fondamentale per le rotte commerciali globali. Si deve tuttavia registrare, nonostante l’importanza dell’area, l’assenza di un’organizzazione addetta alla difesa della regione, sulla falsa riga dell’occidentale N.A.T.O., di cui fanno tuttavia parte diversi Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (tra cui l’Italia). 

Le organizzazioni regionali attualmente esistenti, tra cui si rileva in particolare l’Unione per il Mediterraneo (nata nel 2008), altro non sono infatti se non un mero forum di cooperazione e di facilitazione del dialogo tra i Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. La loro posizione strategica li ha resi tuttavia partner privilegiati delle organizzazioni internazionali che interessano direttamente tale zona, tra le quali un ruolo di spicco viene naturalmente riconosciuto all’Unione Europea. Se attualmente sono in essere solamente degli accordi bilaterali tra l’organizzazione nella sua interezza e qualcuno di questi Paesi (Marocco, Algeria e Tunisia tra i più rilevanti), l’ambizione, al fine di implementare le catene del valore regionali, è quella di raggiungere un’intesa con tutti gli Stati extra UE che affacciano sul Mediterraneo. Gli ostacoli alla realizzazione di questo progetto sono tuttavia molteplici: in primo luogo, la frammentazione degli accordi attualmente in essere; in secondo luogo, la persistenza di barriere al commercio di tipo non tariffario (tra cui, ad esempio, le restrizioni di tipo fito-sanitario); infine, l’environment non esattamente allettante per le imprese dei Paesi europei nell’area MENA, in cui tutt’oggi persistono gli strascichi delle Primavere arabe del 2010-2011.

La necessità di un Mediterraneo che continui ad essere perno dei traffici dell’area è stata di recente messa in evidenza dalla diffusione della pandemia da COVID-19. L’auspicio è che si provveda al più presto a porre fine agli impedimenti che si frappongono al raggiungimento della onnicomprensiva integrazione dell’area mediterranea nel cuore dell’Europa.

 Fonti consultate:

E. Di Nolfo, “Storia delle relazioni internazionali. Gli anni della guerra fredda 1946-1990”, Editori Laterza, Bari, 2015

A. Varsori, “L’Italia nelle relazioni internazionali dal 1943 al 1992”, Laterza, Roma-Bari, 1998

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/55-integrare-la-sponda-sud-32258 ultimo accesso 07/07/2022

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-canale-di-suez-compie-150-anni-ed-e-ancora-fondamentale-anche-litalia-24414 ultimo accesso 07/07/2022

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