Restringere e indebolire, la crisi del discorso formativo

Entro la prossima settimana, in Italia, tutte le attività didattiche – nelle scuole e, in parte, anche nelle Università – riprenderanno il loro corso dopo la pausa – di riflessione? – estiva. Quest’unica affermazione aprirebbe già un dibattito pur così sobriamente formulata. Ma diamoci tempo. 


Cominciamo da una domanda: qual è lo status attuale della formazione in Italia dopo l’esperienza DAD (didattica a distanza)? 

Il 18 maggio 2020 è uscito su «La Stampa» un articolo-manifesto scritto dal filosofo veneto Massimo Cacciari, perfetto esempio del ‘non c’è più la scuola di una volta’ e del popolarissimo ‘si stava meglio quando si stava peggio’.

Ma cosa dice sempre la vostra Zirma del cuore? MAI – ripeto MAI – esprimere opinioni senza aver esperito personalmente (e senza essere in grado di argomentare)!

Pertanto, leggiamo insieme uno stralcio del testo in questione (coloro che vogliano leggere il testo per intero, possono trovarlo qui): 

La prospettiva che emerge è quella di una definitiva e irreversibile liquidazione della scuola nella sua configurazione tradizionale, sostituita da un’ulteriore generalizzazione e da una ancor più pervasiva estensione delle modalità telematiche di insegnamento. Non si tratterà soltanto di utilizzare le tecnologie da remoto per trasmettere i contenuti delle varie discipline, ma piuttosto di dar vita ad un nuovo modo di concepire la scuola, ben diverso da quello tradizionale.

Tra i firmatari dell’appello-manifesto vi sono grandi nomi di studiosi e intellettuali italiani: Luciano Canfora, per esempio, ma anche Asor Rosa e Nadia Fusini

Una definitiva e irreversibile liquidazione della scuola nella sua configurazione tradizionale, si legge nel testo appena riportato: non suonerà un tantino – troppo?conservatrice questa prospettiva? Questa opposizione serrata all’innovazione non risulterà forse anacronistica? Ce l’avranno fatta i nostri eroi a venir fuori incolumi da cotanta avversione al cambiamento?

Luciano Canfora

Uno studioso del calibro di Canfora sarà certamente consapevole del fatto che, mutando il supporto dei testi, muta e si rivoluziona il modo di insegnare e quello di apprendere. Perché opporvisi, dunque?
Non sarà forse un po’ di terrore degli anziani italiani – uomini e donne di immensa cultura, per carità – di doversi misurare da qui in avanti con i dispositivi della scuola 2.0? Questa sorta di horror vacui che paralizza la vetusta classe intellettuale italiana a contatto con il mondo digitale, non rischia di paralizzare, col folle e continuo ricorso alle glorie della tradizione, anche le istituzioni scolastiche? 

Sul tema della digitalizzazione della scuola non si è dibattuto soltanto in occasione della pandemia di COVID-19: già nel 2007, infatti, era stato avviato il dibattito in occasione della presentazione del primo Piano Nazionale per la Scuola Digitale, seguito nel 2015, nel contesto della riforma Buona Scuola, da un PNSD – Piano Nazionale Scuola Digitale – privato di preposizione e articolo, in perfetto accordo con lo spirito di sintesi digitale

Il merito – unico e solo – della pandemia è stato quello di sottolineare le criticità della DAD, e quindi del digitale, (che possono essere, dunque, punto di partenza per migliorie future) e di riportare in prima linea il dibattito sulla questione. 

Da mesi e mesi e mesi di chiacchiere tra esperti e politici, ne sono venuti fuori due punti fondamentali: 

  • a parte rari casi estremisti, nessuno è assolutamente contrario alla scuola in presenza
  • solo un folle, accecato da manie di conservatorismo, potrebbe pensare che la scuola del futuro possa fare a meno del digitale

Ho come l’impressione, però, che un punto fondamentale continui a sfuggirci: la DAD e la scuola digitale NON sono esattamente la stessa cosa.

Il sistema di Didattica A Distanza è stato di fatto istituito in una situazione di estrema emergenza, ed è stata un’enorme prova di sopravvivenza delle istituzioni scolastiche, che hanno a tutti gli effetti versato dentro un sistema digitale contenuti approntati per la modalità di insegnamento in presenza. 

Una recente – non poi tanto – novità nel campo della scuola digitale, invece, è l’introduzione del DDI, vale a dire didattica digitale integrata, che combina l’uso di strumenti digitali a scuola con la modalità complementare alla didattica in presenza in cui si alternano lezioni sulle piattaforme digitali a insegnamenti e attività in presenza. La didattica digitale integrata consente pertanto di aumentare le risorse multimediali e associarle a innovativi metodi  d’insegnamento, e dunque di apprendimento. 

Nel corso della settimana vedrete come la nostra redazione e i nostri autori su zirmazine tratteranno e amplieranno l’argomento didattica; ricordate, nel frattempo, che quando ci interroghiamo sulle caratteristiche della scuola, dell’istruzione e dell’educatore del futuro, dovremmo tenere a mente queste parole del nostro amato Italo Calvino:

Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere. 

Le elezioni si avvicinano, siate tanti, siate pensanti.

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