L’Arte della Scienza, una rivoluzione gender

*in copertina, il murales realizzato (2023) dalla street artist Rame13, con la collaborazione dell’Associazione VenUs. L’opera si trova su una parete del liceo artistico Caravaggio, a Tor Marancia, Roma.


Quando Rosalind Franklin venne ammessa al King’s College di Londra non aveva idea che sarebbe passata alla storia come una delle scienziate più influenti del XX secolo, e come una delle più discriminate, è ovvio. 
Per chi non lo sapesse, la scienziata inglese Rosalind Franklin si è distinta per il suo contributo alla scoperta della struttura a doppia elica del DNA. Utilizzando tecniche specifiche – che non saprei descrivere altrimenti – , Franklin ha prodotto delle immagini che si sono rivelate cruciali per la comprensione del DNA. Nonostante il suo contributo sia oggi ampiamente riconosciuto, purtroppo, la cara Rosalind, durante la sua breve vita (muore a causa di un tumore a soli 37 anni), non ha mai ricevuto il riconoscimento che meritava. Il suo apporto, bellamente ignorato dalla comunità scientifica, è un noto esempio di quella che definiamo discriminazione di genere o sessismo.

Rosalind Franklink

Per fare un esempio pratico, possiamo ricordare come i risultati delle sue ricerche sul DNA siano stati condivisi senza il suo consenso da James Watson e Francis Crick, i quali – come se non bastasse – hanno poi utilizzato queste informazioni per descrivere la struttura a doppia elica del DNA nel 1953, pubblicando un articolo a nome loro sulla rivista Nature.

La storia di Rosalind è quella di centinaia di altre donne in giro per il mondo, che, ancora oggi, faticano ad avere riconosciuti i propri meriti.  L’accesso all’alfabetizzazione per tutti i generi e per tutti i ceti sociali è una conquista del XX secolo – nemmeno poi così antica. Un altro esempio – più virtuoso – è quello della classicista Jane Ellen Harrison


Piccola parentesi precisetti: sì, le discipline umanistiche (filologia, archeologia, linguistica, epigrafia, antropologia etc) sono a pieno titolo delle scienze, appunto scienze umanistiche. I metodi di indagine usati nei vari settori sono scientifici. E apportano eguale ed importante contributo alla conoscenza della realtà circostante.  Il fatto che ancora oggi per dare autorevolezza alla storia come disciplina sia necessario metterci accanto la parola scienza, ci consente di capire la direzione della società. Nessuno stupore sulle polemiche relative al liceo classico, pertanto. 

Ma torniamo a Jane Harrison. Colei che ha cambiato il modo in cui osserviamo la cultura greca antica è stata la prima donna in Inghilterra a diventare un’accademica, nel senso proprio e professionale  del termine – un’ambiziosa ricercatrice e docente universitaria a tempo pieno e addirittura con un salario.

Jane Ellen Harrison con H. F. Stewart, Gilbert Murray, e Francis Cornford, c. 1909 © The Principal and Fellows Newnham College, Cambridge

Pensate che raggiunse tale fama che durante una conferenza a Glasgow, giunsero in 1600 per sentirla parlare di ISCRIZIONI FUNERARIE ATENIESI. Bei tempi! 

La classicista Harrison si distinse anche per il suo enorme contribuito alla questione del suffragio: le sue opinioni sono state pubblicate nell’opuscolo intitolato Homo Sum, una lettera ad un anti-suffragista da un’antropologa (1911), – un appello per l’istruzione superiore e la libertà politica per le donne. Il titolo proviene da Terenzio: Sono un essere umano; nulla che sia umano lo considero estraneo, al quale Harrison ha aggiunto neanche un voto. La donna, ha affermato, è prima di tutto un essere umano prima che una donna. 

All’età di 60 anni, Harrison ha partecipato alla marcia suffragista del 1911 a Londra. Durante una conferenza alla National Union of Suffrage Societies sul tema Donna e conoscenza, successivamente pubblicata come Scientiae sacra fames ha dichiarato: 

We must free women before we know what they are fit for intellectually and morally. We must experiment … We women may have all to go back into the harem tomorrow for the good of the race. If so, we must go in the name of science. But, again, in the name of science, we are not going till experiment has been tried.


Jane Ellen Harrison, ‘Scientiae sacra fames’, p. 139.

Al giorno d’oggi, chiaramente, il ruolo delle donne è cambiato, fino a diventare fondamentale, soprattuto nelle società democratiche. Le donne che lavorano nella ricerca scientifica sono purtroppo in numero inferiore rispetto agli uomini, ma sono sicuramente in crescita. Secondo i dati Eurostat, nel 2020 in Europa è del 41% la percentuale di donne che lavora nel settore scientifico; in Italia si tratta invece del  34%; i dati restano comunque confortanti.  

Numerosissimi sono inoltre gli esempi di organizzazioni e iniziative che promuovono la parità di genere e l’inclusione delle donne nella scienza. Per esempio, Association for Women in Science (AWIS), un’organizzazione a livello nazionale che si impegna a sostenere la carriera delle donne in tutte le discipline scientifiche. Ma anche 500 Women Scientists, una comunità globale che promuove la leadership e la rappresentanza delle donne nella scienza. Ed ancora Girls Who Code, l’organizzazione che si concentra sull’istruzione e l’empowerment delle giovani donne nell’informatica.


Infine, merita un plauso l’iniziativa di MART2022 – Millennials ARt Work, un progetto che mira a ridefinire la toponomastica di Largo Giuseppe Veratti a Roma tramite la streetart, realizzato in collaborazione con l’associazione VenUS urban art. Dall’11 novembre 2022, le street artists Rame13, Giulia Ananìa, Martina Cips De Maina, Zara Kiafar e Giusy Guerriero lavorano alla realizzazione di un percorso artistico, che riguarda da vicino la comunità del quartiere romano, con l’obiettivo di dare spazio alle donne che hanno contribuito ai progressi scientifici.  

La redazione di zirmazine è entusiasta di ospitare questa tematica, non perdetevi neanche una parola. 

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