La Leggenda di Colapesce e l’opera di Renato Guttuso per il Teatro Vittorio Emanuele di Messina

La genti lu chiamava Colapisci

perchì stava nt’o mari comu ‘n pisci.

D’undi veniva nu sapìa nessunu:

forsi era figghiu di lu diu Nettunu!

Un ghjornu a Cola ‘u re faci chiamari

E Cola di lu mari curri e veni

“O Cola, lu mè regnu ha’ scandagghiari,

supra a chi pedamentu si susteni!”

“Colapisci, curri e và!”

“Vaju e tornu, Maistà!”

Cussì si jetta a mari Colapisci,

e sutta a l’undi subitu sparisci.

Ma dopu un pocu chista novità

a lu regnanti Colapisci dà:

“Maistà, li terri vostri

stannu supra a tri pilastri

E lu fatu è assai tremendu:

unu già si sta rumpendu!”

“O destinu mèu infelici!

Chi sventura mi predici!”

Chiangi ‘u Re – “comu haju a fari?

Sulu tu mi poi sarvari!”

“Colapisci, curri e và!”

“Vaju e tornu, Maistà!”

Su passati tanti jorna,

Colapisci non ritorna.

E l’aspettanu ‘a marina

lu regnati e la regina.

Poi si senti la so vuci

di lu mari in superfici:

“Maistà, Maistà!

Sugnu ccà, Sugnu ccà!

Nta lu fundu di lu mari

Chi non pozzu cchiù tornari.

Vui pregati la Madonna,

Staju reggendo la colonna.

Ca sinnò si spezzerà

e ‘a Sicilia sparirà!

Su passati ormai tant’anni:

Colapisci è sempri ddhà!

“Maistà, Maistà!

Sugnu ccà, Sugnu ccà!”

Così recita una delle più belle e antiche leggende legate alla Sicilia. La suggestiva e intramontabile  leggenda di Colapesce, eroe del popolo siciliano che sacrifica sé stesso per salvare la terra da lui tanto amata.

Le prime attestazioni della leggenda di Colapesce risalgano al  XII sec. , al poeta  provenzale Raimon Jordan  che cantava di un  certo Nichola de Bar che viveva in mare come un pesce. Tra il XII e  XIII secolo, la leggenda si iniziò, poi, ad arricchire di dettagli e a dar vita a numerose varianti.  La variante del canonico inglese Walter Map  riferiva di un certo Nicolaus che riusciva a vivere in mare senza respirare e che andava alla ricerca di oggetti preziosi dispersi nei fondali marini. Egli, era talmente abituato a vivere in mare come un pesce, che morì asfissiato quando fu costretto a tornare in superficie perché  re Guglielmo II di Sicilia desiderava a tutti i costi conoscerlo. Una variante simile e contemporanea a  quella di Walter Map, era poi la variante del monaco inglese Gervasio di Tilbury. Protagonista era sempre un Nicolaus – stavolta soprannominato Papa –  abilissimo marinaio pugliese, che  costretto dal re di Sicilia Ruggero II a scendere ed esplorare i fondali del Faro, scoprì numerosi  monti, valli, boschi, campi ed alberi ghiandiferi giacenti sott’acqua. L’ultima variante  – e quella a cui si rifanno le ultime e definitive versioni della leggenda-  infine, era, la variante del XXIII sec.  di frate Salimbene de Adam da Parma. Egli narrava di un certo Nicola, nuotatore messinese che il re di Sicilia Federico II di Svevia  sfidò a riportargli una coppa d’oro che puntualmente e  ripetutamente gettò  sempre più in profondità negli abissi marini, finché Nicola scomparve e non fece più ritorno. Secondo questa variante della leggenda Nicola diventa un’abile nuotatore e sommozzatore perché maledetto dalla madre, figura che appare qui per la prima volta.

Tutte le versioni della leggenda, furono poi tramandate oralmente e trascritte nel tempo, cristallizzandosi  infine in quelle che tutt’ora sono le  tre principali varianti di essa. Come in ogni tradizione orale che si rispetti , in queste versioni, di volta, in volta, mutano o il nome del re (a volte Ruggero II, a volte Carlo V e a volte Federico II di Svevia), o il motivo per cui Colapasce viene  incaricato di raggiungere il punto più profondo dei fondali marini.

La leggenda nella versione napoletana: Nella versione napoletana, Colapesce era conosciuto come Pesce Nicolò e viveva nell’antico borgo marinaro di Santa Lucia. Ultimogenito di una famiglia con sette figli,  amava così tanto il mare da passare le sue giornate immerso nei fondali marini e da indurre la madre a maledirlo di tramutarsi in un pesce. Secondo quanto narra la leggenda, la maledizione materna fece subito effetto e Nicolò si tramutò nel leggendario  essere mezzo uomo e mezzo pesce che noi tutti conosciamo. Poiché il suo desiderio era quello di giungere sempre più in profondità negli abissi, l’astuto Colapesce aveva ideato uno stratagemma cioè quello  di farsi inghiottire dai pesci più grandi, così da sventrarli e uscire dalla loro pancia, una volta che questi avessero raggiunto la destinazione che egli desiderava. Ben presto, però, la sua fama arrivò fino all’orecchio del re di Sicilia che volle a tutti i costi incontrarlo e che  –  dopo aver udito dal giovane  di fantastici racconti su giardini di corallo, grotte misteriose e relitti sommersi –  gli ordinò di raggiungere il punto più profondo del mare e raccogliere gioielli da poter donare alla propria figlia che era in procinto di sposarsi. Colapesce, da buon suddito, ubbidì al sovrano, ma –  una volta giunto nel punto più profondo degli abissi-  rimase imprigionato in uno spazio senza acqua e non fece più ritorno.

La leggenda nella versione catanese: Nella versione catanese della leggenda si narra che il re di Sicilia – curioso ed assetato di conoscenza  – ordinò a Colapesce di scoprire cosa si nascondesse al di sotto dell’Etna.  Quando il giovane, dopo la sua immersione, riferì al sovrano  di aver scoperto  che al di  sotto alla Sicilia non vi fosse altro che il fuoco che alimentava il vulcano, il sovrano –  diffidente- pretese che il ragazzo gli fornisse una prova tangibile di ciò. Colapesce fu così costretto a tuffarsi  in mare con un pezzo di legno per raggiungere il punto in cui il fuoco si generava sotto i fondali,  ma  poiché il fuoco era talmente forte il ragazzo morì bruciato e di lui risalì in superficie solo  il legno incenerito, prova tangibile della sua sincerità.

La leggenda nella versione messinese: La leggenda di Colapesce nella versione messinese è quella più diffusa e accreditata, tanto da essere stata trascritta e rielaborata persino da Italo Calvino nelle sue fiabe italiane. In questa versione si narra di Nicola o meglio Cola – figlio di un pescatore messinese di Punta Faro –  e soprannominato Colapesce. Colapesce era abilissimo nelle immersioni, e ciò generò il suo famoso soprannome. Fra un immersione e l’altra, egli era solito narrare le sue imprese e le meraviglie da lui osservate sui fondali, da cui, riportava spesso in superficie alcuni dei tesori di cui amava andare a caccia. La voce della sua bravura giunse all’imperatore Federico II di Svevia che volle, dunque, metterlo alla prova. Di volta in volta, infatti, l’imperatore, gettava in mare, sempre più lontano ed in profondità, alcuni dei suoi oggetti più preziosi che, puntualmente, venivano recuperati da Colapesce. In una di queste immersioni, la leggenda narra che Colapesce, raggiunto il punto più profondo del mare, scoprì che la Sicilia si sorreggeva su tre colonne e che la colonna di Capo Peloro – dove lui abitava- fosse piena di crepe e sul punto di crollare. L’amore per la sua terra, lo indussero allora a restare sui fondali marini per sorreggere la colonna ed evitare che la Sicilia potesse sprofondare. Tutt’oggi , è credenza popolare che Colapesce sia ancora lì a sorreggere la Sicilia, che ogni 100 anni riemerga per vedere la sua terra e che i terremoti che colpiscono il messinese non siano altro che i movimenti di Colapesce mentre è intento a cambiare spalla per meglio sorreggere la colonna.

La leggenda di Colapesce , abbiamo detto che nasce nel XII sec.,  ma sembra  trarre la sua  origine dal culto tardo pagano di Orione e figli del dio Nettuno. Tali esseri  mitologici erano dotati di poteri magici che permettevano loro  di essere in grado di restare sott’acqua in apnea, carpendo così i tesori e i segreti che si celavano in mare. Secondo il mito, pare, poi, che fossero in grado di acquisire ulteriori poteri o accoppiandosi con altri esseri marini o grazie all’aiuto della sirena Partenope. Tale origine tardo-pagana della leggenda, fu  sostenuta principalmente da Benedetto Croce  nelle sueStorie e leggende napoletane, ma,  a quanto pare, la fama  di Colapesce –  già in passato – fu tale da giungere  fino a Jules Verne che cita l’eroe siciliano nel suo celebre libro Ventimila leghe sotto i mari.

Il capitano Nemo incontra Colapesce mentre esplora i fondali con il suo Nautilus

La leggeneda di Colapesce, però, continua ancora ad ammaliare e – anche se ambientato sulla Riviera Ligure e non in Sicilia – pare che proprio Colapesce abbia ispirato la nascita del film Disney -Pixar Luca.

Luca film d’animazione Disney- Pixar del 2021

Ma leggenda di Colapesce ha ispirato anche uno dei più celebri pittori ed intellettuali del XX sec., Renato Guttuso che la scelse come protagonista  di una delle sue ultime  opere.Era il 1985, la citta di Messina, dopo tanti anni dal terremoto del 1908, aveva finalmente ricostruito la parte scenica del suo  teatro  –  il Teatro Vittorio Emanuele II –  e si ritrovava a volerlo inaugurare alla grande, sfoggiando una perla incastonata nella volta del suo soffitto: La leggenda di Colapesce di Renato Guttuso.

Teatro Vittorio Emanuele II. Voluto da Ferdinando II di Borbone, fu inaugurato nel 1852 e realizzato su progetto dell’architetto napoletano Pietro Valente. Dopo il terremoto del 1908 fu ricostruito dal 1982 al 1985.

L’opera, composta da 143 pannelli –   realizzati con colori ad olio ed  assemblati dall’artista di Bagheria nel suo studio –  presentava una superficie di bel 130 metri quadrati e, non solo era l’ opera più grande più grande dell’artista, ma anche una delle sue ultime. Ovviamente, si trattava di un omaggio alla città dello Stretto e ad alle sua millenaria tradizione e – dato lo splendore che tutt’ora possiede –  possiamo solo immaginare lo stupore e la meraviglia di chi poté ammirarlo alla sua inaugurazione.

Volta del Teatro Vittorio Emanuele II di Messina con La Leggenda di Colapesce di Renato Guttuso

Il Colapesce  che campeggia nel capolavoro di Guttuso sulla volta del teatro di Messina, però, non è la solita e classica rappresentazione di Colapesce mentre è intento a sorreggere la Sicilia e a sacrificarsi per essa. L’opera di Guttuso –   lontana dal verismo che ha caratterizzato la sua più celebre produzione –  nello stile ormai completamente libero sia nella composizione che nell’esecuzione che caratterizzò la sua ultima produzione, è qui una visione allegorica e celebrativa dello Stretto e delle sue radici geografico culturali. Colapesce infatti, è rappresentato nell’atto precedente la suo sacrificio, mentre è intento a tuffarsi in mare, al cospetto di due gruppi di procaci sirene, fra guizzi di delfini e pesci spada e  festosi voli di gabbiani. A presagire la triste sorte di Colapesce, non sembra esserci alcun elemento, se non il ghigno che traspare sul volto della sirena in alto a destra. Così come non si intravede alcun cenno della città di Messina, rappresentata solo dal suo turchese mare cristallino che –  data la presenza delle sirene  – più che al mare di Federico II di Svevia, si riconduce al mitico mare di Scilla e Cariddi cantato da Omero. Guttuso, infatti, giunto ormai alla fine della sua lunga e prestigiosa carriera, decide,  di enfatizzare la bellezza e potenza del mito di Colapesce, anche e soprattutto  attraverso l’uso delle bellissime sirene intente a sollazzarsi sugli scogli. È proprio questa l’esemplarità della cultura pittorica di Guttuso,  riuscire a trascendere la realtà grazie all’uso della metafora e dell’allegoria.

La Leggenda di Colapesce, Renato Guttuso, pannelli dipinti ad olio, 1985

La Leggenda di Colapesce è parte immateriale del patrimonio culturale siciliano, un patrimonio millenario che, per il crogiuolo di razze e culture che hanno popolato l’isola, rappresenta un unicum al mondo.  Un’artista come Guttuso,  che ha sempre avuto uno strettissimo legame con la sua Sicilia, lo sapeva bene e,  forse per questo, ha deciso di rappresentare Colapesce nel momento  del suo tuffo in mare. Un momento festoso, seppur simbolo di dedizione e sacrificio alla propria terra che, non solo vuol ricordare ai siciliani la propria storia, ma quel legame così atavico e viscerale per il mare e per l’isola che da sempre li caratterizza.

Fonti consultate:

  • Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, a cura di Giuseppe Galasso, ed. Adelphi, 2010, pp. 298-305 ;
  • Italo Calvino, Fiabe italiane, raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino,  Einaudi, 1956;
  • Giuseppe Cavarra, La leggenda di Colapesce, ed. Intilla, Messina, 1998
  • La leggenda di Colpapesce, edizionikalos.com, 21/ 01/2023;
  • Teatro Vittorio Emanuele II Messina, teatrovittorioemanuele.it, 21/01/2023;
  • Rosalia Salemi, Messina dopo 76 anni torna nel suo teatro, ricerca,repubblica.it, 25/04/1985;
  • Renato Guttuso: Colapesce 1985, lescalinatedell’arte.com, 21/01/2023;
  • Cristina Costanzo, Renato Guttuso e la Sicilia. Per un museo diffuso del maestro di Bagheria, in Ucoarte rivista de teoria Historia de arte, 10, 2021, PP.212-229; 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *