Il sonno della ragione genera i mostri

Nella serie di incisioni realizzata da Francisco Goya ed intitolata Los caprichos, c’è quella che forse è una delle opere più celebri e fascinose dell’artista: Il sonno della ragione genera i mostri. La serie nasceva per rappresentare i vizi della società spagnola contemporanea al pittore che – con una certa vena sprezzante ed ironica – attuava con le sue opere una tagliente e cruda satira nei riguardi della politica e della vita ecclesiastica del tempo. Seppur ne Il sonno della ragione genera i mostri  non si facesse riferimento ad alcun fatto religioso o politico specifico, l’opera lasciava un monito importante che comprendeva universalmente tutti gli aspetti  della vita, anche quelli religioso e politico.

Da buon illuminista, Goya sosteneva infatti  che : “La fantasia se abbandonata dalla ragione genera mostri impossibili, mentre se unita a lei è madre delle arti e origine delle meraviglie”. Ragion per cui, irrazionalità, fede cieca ed ideologismi non sono altro che degenerazioni della fantasia e che l’arte stessa se guidata sapientemente dalla ragione, è invece capace di produrre le più alte forme di pensiero.  La riflessione del celebre artista spagnolo è, non solo arguta, ma sempre attualissima. In particolare se la attuiamo a tutte quelle ideologie politiche che tentano inverosimilmente di manipolare l’arte e la storia pur di raggiungere nel popolo il tanto agognato consenso.  Anche a costo di reprimere  la libertà di pensiero, anche a costo di rinnegare e cancellare l’identità culturale di un popolo ed anche a costo di farlo piombare nel più becero oscurantismo.

Francisco Goya, Il sonno della ragione genera i mostri, dalla serie Los Caprichos, 1799

Un esempio lampante di un sonno della ragione che genera mostri, è di sicuro il tentativo di controllo,  di strumentalizzazione e di ingerenza  politica nella gestione dei musei. Tentativo da sempre perpetrato e recentemente risalito agli onori della cronaca grazie alla insolita richiesta dalla Destra italiana dell’epurazione dalla direzione del Museo Egizio di Torino di Christian Greco. Egittologo ed archeologo di fama mondiale, Greco è stato accusato dal Governo di Centro destra di essere di  sinistra e razzista sia contro gli italiani ed i cristiani. Per capire meglio tale accusa, bisogna tornare al 2018 quando l’egittologo promosse- per motivi di inclusione e promozione del patrimonio del Muse Egizio – l’ingresso gratuito al museo agli arabi, genti del paese d’origine del patrimonio del museo. In quell’occasione, l’onta di Greco fu quella di aver messo alla berlina l’attuale premier Giorgia Meloni in un dialogo, ormai celebre e virale. Alle accuse di discriminare gli italiani a favore di una specifica religione, infatti, il direttore del Museo Egizio rispose  alla Leader di Fdi (facendole fare una pessima figura) così: “Di una lingua, non di una religione: lo sa che in Egitto vivono 15 milioni di copti, che sono cristiani?”. 

Al di là del fatto che l’orientamento politico non è una prerogativa nella scelta o nel riconoscimento del merito del direttore di un museo (o di qualunque altro luogo di cultura), e che non si può licenziare qualcuno sol perché non segue le ideologie di chi è al Governo, sobbalza gli occhi l’accusa ad un italiano di essere razzista verso i suoi compatrioti, così come fa orrore vedere come una coalizione al Governo cerchi di utilizzare il proprio potere per far licenziare il direttore di un museo che non è neanche statale, ma gestito da una fondazione privata.  È inoltre surreale che quello che si definisce il Governo del merito ed è strenuo difensore di una gestione museale  e del patrimonio nazionale ad appannaggio  di soli direttori di museo  italiani, non solo non sappia coniugare merito e politica, ma faccia la guerra ad un italianissimo Direttore di museo  che non solo conosce 11 lingue, ma per il curriculum che ha, non può essere solo motivo di vanto per l’intera nazione.

Christian Greco, Direttore del Museo Egizio di Torino

Ma quello dell’interferenze  politiche e governative all’interno della gestione della cultura e dei musei, purtroppo, non è solo una piaga italiana. Anzi,in Europa centrale, soprattutto nei paesi dell’Europa dell’Est e del Sud- Est, si è assistito negli ultimi anni a casi d’interventismo politico che hanno praticamente annientato l’autonomia delle istituzioni museali.

Fra gli esempi più noti, vi è il caso di  Katarzyna Wielga- Skolimowska direttrice dell’Istituto di cultura polacca di Berlino, licenziata nel 2016 dopo che l’ambasciatore della Polonia in Germania l’accusò di aver messo in programma all’Istituto troppi contenuti a tema ebraico. Fu poi la volta di Peter Schaefer , fra i più importanti studiosi di Ebraismo e direttore del Judisches Museum Berlin, costretto a dimettersi  nel 2019 perché accusato dall’ambasciatore di Israele in Germania di criticare le politiche del governo israeliano e di protestare contro il razzismo anti musulmano solo per aver ha cercato di creare un dialogo fra ebrei e musulmani. A questi, seguì la storia  Zelfira Tregulova, licenziata nel 2020 dalla Galleria statale Tretyakov, per aver allestito mostre giudicate in contraddizione con i principi morali conservatori  sostenuti da Putin. Ed, infine, vi fu il caso di Jarosaw Suchan, direttore ad interim del Muzeum Sztuki a Łódź, licenziato nel 2022 per essere sostituito  da chi promettesse  di evitare di promuovere l’arte a favore dell’ambiente, sessista o omosessuale.

In tanti di questi paesi, come in molti altri paesi dell’Ue, gli incarichi nelle istituzioni pubbliche sono spesso presi da enti governativi, il che rende i musei vulnerabili durante i cambiamenti nell’amministrazione e le guerre culturali. Questo ha fatto si che nel 2022  sia nato il Museum Watch Governance Management Project , progetto voluto dal Cimam (Comitato internazionale per i musei e le collezioni d’arte moderna) e dal Intercom (Comitato internazionale per la gestione dei musei) e presentato a Praga nell’agosto 2022, durante la conferenza dell’ICOM (Consiglio internazionale dei musei) per preservare l’autonomia dei musei. Il progetto ha stilato, infatti, tutta una serie di linee guida utili ai musei per difendersi dalle interferenze politiche: dalla condivisione di medesime terminologie, al contenimento di decisioni che limitano l’autonomia dei musei (siano di natura legale, che di consuetudini regionali o di relazioni informali) e, appunto, al rapporto con la politica che, per quanto debba essere esclusa dalla gestione dei musei, deve comunque essere tenuta costantemente in dialogo con essi.

Per parafrasare proprio le parole di Christian Greco sulla funzione dei Musei: “La ricerca, la partecipazione, sono due tratti distintivi del museo, fin dall’inizio. La ricerca ha molti scopi, uno in particolare è la biografia dell’oggetto. L’oggetto è un mezzo per avviare un dialogo tra chi ci ha preceduto e chi ci segue. Per questo motivo il museo  ha una funzione sociale: deve essere aperto a tutti, deve parlare di accesso alla cultura, deve essere un luogo di democrazia dove viene garantito il confronto dialettico che è il sale della crescita. Il museo è, dunque, un luogo di per sé politico: usa il passato per costruire il futuro. I musei sono un presidio di libertà, un luogo di frontiera dove l’articolo 3.2 della costituzione si attua”. 

Ed è proprio per questo motivo, aggiungiamo noi, che il museo deve essere un luogo autonomo da ideologie ed ingerenze politiche, proprio per preservare quel presidio di libertà soprattutto di pensiero che non solo è alla base della ricerca scientifica, ma che ci permette di tutelare, conservare e tramandare  senza sovrastrutture, giudizi, vizi di forma e manipolazioni  la nostra storia e la nostra identità culturale alle generazioni future.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *