Ho sognato una rivoluzione

in copertina: Vita quotidiana partigiana di Adriana Filippi – in mostra permanente al Museo della Resistenza di Boves


Inizio subito condividendo una realtà (che abbiamo già consigliato qui) di cui scopro continuamente cose e che mi entusiasma ogni volta: la rivista di arti e letterature arabe contemporanee Arabpop. Proprio rileggendo il loro primo numero, ho ritrovato questi versi, che riporto parzialmente:

Ti ho convinta che amare la patria è un’offesa
indelebile
imperdonabile
mi hai convinta che noi, qui,
tra Farkha e Acri
sulle spiagge di Nauplio
a Beirut, al Cairo, a San‘a
siamo sotto la stessa nuvola
nulla ci distingue
identici i destini della follia.
Non conosco il significato della parola separazione
ma non ho partecipato alla tua sepoltura
e ho pensato alla tua morte come a un viaggio ad Amman
lì, dove ti rifugiavi dopo la fatica.
Come addio tardivo
compro tredici tulipani gialli
e quando il fioraio mi chiede delle lacrime
rispondo che ho sognato una rivoluzione
e tutti gli amici sono morti.

I versi sono della poeta palestinese Carol Sansour1, la traduzione dall’arabo di Silvia Moresi, la poesia ha titolo Separazione. Anzitutto, grazie per questo piccolo miracolo culturale, averla cioè resa disponibile in lingua italiana. Mi è sembrato di tenere tra le mani una delicata ed intima lettera di commiato – che, si sa, ravviva sempre qualche memoria, anche dolorosa; Sansour ci ricorda, però, che siamo sotto la stessa nuvola/nulla ci distingue/identici i destini della follia. Nonostante ciò, ogni cosa sembra dividerci ed ogni differenza sembra essere un pretesto sufficiente allo scontro. E così, la poeta ci rammenta anche il caro prezzo che si paga a voler fare la rivoluzione – ho sognato una rivoluzione/e tutti gli amici sono morti.

Nell’immaginario collettivo italiano, aprile è il mese della Resistenza – in Italia, la rivoluzione per eccellenza; il 25 aprile, infatti, – anniversario e festa della Liberazione dal nazi-fascismo – è la giornata emblematica della lotta antifascista. Nonostante gli attuali governanti siano vittime di paresi facciale quando viene chiesto loro di proclamarsi antifascisti, la verità è che la Costituzione italiana è basata su principi antifascisti, ed è stata stilata dagli uomini e dalle donne che hanno sfidato con i loro corpi gli invasori; che al governo ci sia adesso chi nega persino questa verità storica, fa accapponare la pelle.

Di antifascismo è fatta anche la storia di Ilaria Salis, da oltre un anno reclusa nelle carceri ungheresi con l’accusa di aver partecipato al pestaggio di tre neonazisti insieme a un gruppo di attivisti tedeschi tra il 9 e il 12 febbraio 2023 a Budapest. L’occasione era quella del Tag der Ehre, la ricorrenza con cui i neonazisti ricordano il battaglione delle SS che nel 1945 tentò di sventare l’assedio di Budapest condotto dall’Armata Rossa. Salis si dichiara innocente, ribadisce che in quei giorni si trovava in Ungheria per partecipare a una contro-manifestazione pacifica; da quel momento è reclusa, però, in carcere a Budapest, dove subisce un trattamento disumano, che viola alcuni pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo – come l’essere condotta in aula con guinzaglio e catene. Il 28 marzo si è svolta l’udienza di responso alla richiesta di trascorrere la detenzione agli arresti domiciliari in Ungheria – richiesta respinta. Ilaria Salis rischia, secondo la legge ungherese, fino a 16 anni di carcere per lesioni aggravate, nonostante non abbia ricevuto alcuna querela di parte – in Italia, ne rischierebbe un massimo di 4. Se vuoi seguire gli aggiornamenti sul caso Salis, puoi leggerne la versione a fumetto di Michele Rech, in arte Zerocalcare, ogni settimana su Internazionale.

Ma non solo, puoi anche firmare la petizione a favore del rimpatrio di Salis in Italia, stilata dal Comitato Ilaria Salis. Non costa niente, è solo un piccolo gesto antifascista.

Che altro succede nel mondo?

L’ACLED Conflict Index ha stimato che nel 2023 si è verificato un aumento del 12% dei conflitti rispetto al 2022, registrando un aumento di oltre il 40% rispetto al 2020. In pratica, una persona su sei, attualmente, vive in un’area attivamente in guerra. Non resta che porci quella domanda che il figlio settenne della giornalista e inviata di guerra Francesca Mannocchi ha rivolto alla madre: ma la guerra, quando arriva da noi? Da questa domanda, la giornalista ha dato vita ad un libro, Lo sguardo oltre il confine. Dall’Ucraina all’Afghanistan, i conflitti di oggi raccontati ai ragazzi  e ad un podcast, realizzato in collaborazione con i ragazzi della scuola primaria, Per esempio, la guerra.

Questo mi riporta alla mente alcuni versi del brano Sequoia degli Offlaga Disco Pax che potete ascoltare qui, nella nostra playlist del mese di aprile:

È rimasto quell’immenso e botanico mistero
La sequoia è là in Via Chiesa
Proprio a pochi passi dalla vecchia Villa Rossi
Dove nel ’44 stava il comando di quelli che torturavano i ribelli venuti giù dalle montagne
Ed è rimasta quella vecchia ma meno eterna cicatrice
Quando la guardo allo specchio e nelle fotografie di me bambino
Penso che sia una bella cosa
Una lieta meraviglia
Che ancora non c’abbia toccato
Né guerra, né miseria

Questa lieta meraviglia è il privilegio per cui dobbiamo resistere, chiedendo a gran voce che possa essere universale. Pensiamo per un attimo alla schiera dei nostri privilegi, chiediamoci perché esista una gerarchia e come fare, non ad averne di più o più degli altri, ma a come il sistema possa essere più equo. Vi lascio con un esercizio d’osservazione e riflessione; questa che segue è la ruota del potere/privilegio disegnata da Sylvia Duckworth2.

Questa osservazione ci aiuta a visualizzare in maniera più complessa il termine marginalizzazione: più sei lontano dal potere, più ti senti ignorato e insignificante. Tuttavia, è interessante notare come il proprio livello di potere/marginalizzazione si sposti tra le categorie; infatti, un modo diverso per interpretare questa illustrazione è attraverso una prospettiva di intersezionalità e riflettere sui numerosi livelli di ingiustizia sociale.

Buon lavoro! Al mese prossimo!

  1. Carol Sansour, palestinese, vive e lavora ad Atene ed è curatrice del progetto Shaeirat. ↩︎
  2. Sylvia Duckworth è un’insegnante canadese con oltre 30 anni di esperienza nel settore educativo. ↩︎

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