Danilo Dolci o dell’umanesimo resistente

Quello di Danilo Dolci è un umanesimo resistente, nel senso di solido e insieme di positivamente contrapposto ai trabocchetti dei potenti, del dominio. È l’umanesimo di chi guarda gli uomini uno per uno. 

Così scrive Silvio Perella nella postfazione a Poema umano (edizione Mesogea, 2016), sottolineando come Dolci non abbia avuto timore di fare della poesia uno strumento d’azione – una poesia che si guarda intorno, osserva e agisce, che non teme il volo delle parole. 

Se dovessi descrivere Danilo Dolci, sceglierei la locuzione poeta educatore

Per educare
meglio non inizi
dalla grammatica, dall’alfabeto:  
inizia dalla ricerca del fondo interesse
dall’imparare a scoprire, 
dalla poesia ch’è rivoluzione
perché poesia

da Il limone lunare

Danilo Dolci sceglie, dopo averci vissuto con la famiglia anni prima e averne constatato la miseria, nel 1952 di trasferire la sua intera esistenza tra Trappeto e Partinico, nella Sicilia occidentale. Fa esattamente al contrario l’iter che un numero sempre crescente di giovani – oggi come ieri – decide di intraprendere verso il Nord del mondo. E non sono molti, nella storia italiana, ad averlo scelto

In Sicilia, promuove le lotte nonviolente contro la mafia, e, di conseguenza, contro tutti quei mali sociali di cui la mafia è portatrice sana: disoccupazione, analfabetismo e fame, mali nutriti dall’assenza dello Stato e dalla disuguaglianza sociale.  L’impegno sociale costante e il suo attivismo non violento gli faranno conquistare il soprannome di Gandhi della Sicilia

Una vita non violenta

Danilo Dolci non era siciliano. Era nato a Sesana vicino Trieste. Quindi Dolci non solo non era siciliano, ma era nato e cresciuto in territorio – oggi sloveno – a  forte connotazione mitteleuropea, da madre slovena e cattolica e padre italiano e agnostico.
Danilo Dolci non era un umanista. Aveva frequentato la facoltà di Architettura a Roma prima e il Politecnico a Milano poi.
Stava quasi per ultimare i suoi studi quando molla tutto per dedicarsi anima e corpo all’attività poetica. 

Nel ‘52 decise dunque di trasferirsi nella zona tra Partinico e Trappeto: qui darà vita ad un’attività di lotta sociale e politica, basata sulla pratica della nonviolenza, strumento civile, culturale ed educativo.
Nel 1953, Danilo comprerà un terreno a Trappeto e fonderà insieme ai pescatori del luogo il Centro di Formazione Borgo di Dio, attualmente riconosciuto come patrimonio culturale di Sicilia.

L’educatore Dolci, tramite l’attività del Borgo di Dio, è stato portavoce delle condizioni di estrema miseria della zona. Ma ha fatto molto di più: ha cercato principalmente di  trasmettere alla povera gente il messaggio secondo cui cambiare la realtà e realizzare l’irrealizzabile è possibile

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni 
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono: 
ciascuno cresce solo se sognato.

da Il limone lunare

Il programma educativo adottato da Dolci si basa su una struttura definita maieutica, che valorizza, stimolandole, le potenzialità della persona tramite un meccanismo di auto-scoperta. 

L’osservazione diretta dei fenomeni sociali e politici porta l’individuo a combattere le ansie e a privarsi delle proprie strutture mentali difensive, meglio note come maschere sociali. Ed è tramite la creatività che ogni singolo individuo può tentare di raggiungere se stesso, identificandosi con il prossimo e con il mondo stesso. 

L’utopia educativa di Danilo Dolci si basa su un processo maieutico di gruppo, tramite il quale la persona sviluppa sì la propria creatività, ma è anche capace di valorizzare l’aspetto comunicativo entrando in relazione con gli altri. 

Questa relazione era pertanto innescata da Dolci stesso tramite la cosiddetta metafora della domanda. Qualcuno lo ha anche definito l’educatore della domanda, vale a dire quel tipo di educatore la cui azione formativa si basa sul chiedere e sull’esplorare, nel tentativo di tirare fuori il non-noto – tutto ciò che è celato dietro le tradizioni, le consuetudini, gli stereotipi.

Ma c’era un’altra arma con la quale il Gandhi di Sicilia cercò di contrastare gli abusi di potere: quella nonviolenta del digiuno. L’adoperò per la prima volta nel novembre del 1955,  per porre sotto gli occhi di tutti come la mafia bloccasse i lavori per la costruzione della diga sul fiume Jato. La diga in questione avrebbe contrastato le gravi siccità, causa dell’improduttività dei terreni agricoli del territorio.

Annunciano di avere ammazzato 
milletrecentoventisette persone,
si vantano di averne rovinate 
di schianto altre diecimila,
si gloriano di aver distrutto
dighe, industrie 
«anche per elevare il morale del popolo», 
d’aver sconvolto undici strade:

anacronistici mostri
lo sterminio chiamano vittoria.

da Il limone lunare

I lavori della diga inizieranno nel 1962 in seguito ad una grande manifestazione popolare e ad un altro digiuno.

Lottare alla rovescia

Nel gennaio del 1956 a Partinico inizia il famoso sciopero alla rovescia. Di che si tratta?

Lo sciopero alla rovescia è l’azione tramite cui cittadini disoccupati lavorano volontariamente in servizi di pubblica utilità per fare in modo che le autorità preposte lavorino di conseguenza alla risoluzione del problema della disoccupazione.
Il ragionamento alla base si regge sul fatto che se un operaio, volendo protestare, si astiene dal lavoro, allora un disoccupato per scioperare dovrebbe farlo lavorando. Già il 27 novembre del ‘55 Dolci aveva praticato un digiuno di sette giorni per chiedere al governo italiano la costruzione di una grande diga; il 30 gennaio dell’anno successivo, come premessa a quello che sarebbe avvenuto, aveva avuto luogo il digiuno di mille tra contadini e pescatori per lottare contro la pesca di frodo praticata dalla mafia del mare. 

Fu così che il 2 febbraio del ‘56 centinaia di disoccupati si organizzarono per riattivare pacificamente i lavori su una strada comunale abbandonata. Per l’occasione Dolci aveva chiamato giornalisti e fotografi perché assistessero all’evento. I lavori vennero tempestivamente bloccati dalla polizia e Danilo, insieme a quattro suoi amici sindacalisti, venne arrestato per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, istigazione a disobbedire alle leggi e invasione di suolo pubblico. 

Per due mesi rimase nel carcere dell’Ucciardone, e venne in seguito scarcerato perché gli vennero riconosciuti moventi di particolare valore morale

All’inizio qui ero solo
e poi con pochi, a tentare
di fermare le frane della gente
per radicarla salda a organizzarsi. 

Sghignazzavano molti: «Cosa crede,
costruire dighe coi digiuni?
solo la violenza vince, è di natura»
schizzandomi saliva sulla faccia. 

da Sopra questo frammento di galassia

Danilo Dolci svolse un’intensa opera di educazione popolare, approfondì lo studio della struttura maieutica e nel ‘74 fondò anche il Centro sperimentale di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. 

Morì a Trappeto nel 1997 dopo lunga e faticosa malattia, per infarto, sempre impegnato nel lavoro e con le persone a cui aveva dedicato la sua intera vita.

Se mi ammazzano
o mi si rompe il cuore qualche giorno,
miei cari, non vi lascio
né case, né terreni, né danari. 
Pur amici della terra che vi ha cresciuti
non sarete paesani di nessuno: 
cittadini del mondo, 
figli del Nord e del Sud, a disagio
ogni volta vi chiuderete in nidi. 

da Il limone lunare

Fonti consultate

Dolci, Danilo. 2014. Conversazioni contadine. Il saggiatore.

Dolci, Danilo. 2016. Poema umano. Mesogea.

Ragone, Michele. 2011. “Le parole di Danilo Dolci.” Anatomia lessicale.

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