Animali fantastici e dove trovarli: l’unicorno!

La Wunderkammer (camera delle meraviglie), dal XVI sec. in poi, era il gabinetto o residenza dei collezionisti. Sorta di museo ante litteram dove i collezionisti raccoglievano Mirabilia (oggetti rari e straordinari per le loro proprietà intrinseche ed estrinseche). In essa si possono trovare fossili, animali, manufatti scientifici, oggetti d’Arte, monete, gioielli e reperti archeologici. Questa rubrica vuol essere la Wunderkammer di Zirma e, con semplicità e senza pretese, accompagnare il lettore nel mondo dell’Arte.
Fra gli oggetti più presenti e ricercati nelle Wunderkammer di collezionisti e sovrani europeivi è il corno dell’unicorno. Il suo potere taumaturgico e la funzione di pozione salvifica contro ogni veleno raccontata dal mito, fece si, che la polvere di unicorno fosse venduta nelle farmacie, dove spesso l’icona dell’animale faceva da insegna.

Unicorno, emblema di Scozia

Fu anche simbolo araldico. Simboleggiava forza e generosa vittoria, purezza e castità e come tale servì da supporto alle armi dei reali di Scozia, degli Estensi a Ferrara e dei Borromeo a Milano e compare negli stemmi di Regno Unito, Canada e Lituania.

Il medico Andrea Marini, scrisse nel 1556 il libro Contra la falsa opinione dell’alicorno per confutarne l’esistenza. Mentre Andrea Bacci, nel suo dottissimo discorso L’alicorno, la confermava. La realtà stava nel mezzo, il monocero descritto dagli antichi è il rinoceronte ed il corno appartenuto a collezionisti e sovrani era il canino di un cetaceo chiamato narvalo. Esso era stato portato nei mercati europei dai vichinghi che lo spacciavano come il corno di un cavallo barbuto con coda asinina e zoccoli doppi. 

Ma, allora, da dove deriva la figura dell’unicorno come cavallo dal lungo corno in testa, dalle virtù terapeutiche e legato alla figura delle vergini che conosciamo? 

Tutto ha inizio in Cina. Nell’antica Cina era il K’i-lin, uno dei quattro animali benevoli ed era raffigurato come un cervo con coda di bue, zoccoli di cavallo, armato solo del corno e dei peli dorsali di cinque colori. Non uccideva e appariva in eventi straordinari. La sua morte o ferimento erano di cattivo auspicio. Per loro, il corno del rinoceronte, non del K’i-lin era antidoto contro i veleni. 

Nei testi sacri sumeri ed indiani, invece, si allude ad un antilope unicorno che cura dalle malattie, ad un pesce unicorno avatar di Visnù che salva Manu dal diluvio universale e vi è l’origine della vergine e l’unicorno. Nella tradizione persiana si continua con un immenso onagro bianco unicorno a tre zampe che purifica l’Oceano urinandovi. Mentre, in alcuni brani dell’antico testamento appare il Re’em (che i traduttori alessandrini del III sec. identificarono con l’unicorno, da loro chiamato monocero), animale dalla forza prodigiosa, mai descritto. Probabilmente, era proprio il rinoceronte indiano, il cui corno i mercanti trasportavano lungo la via della seta, attribuendogli proprietà afrodisiache e curative. Si riteneva che bere dal corno di rinoceronte potesse proteggere i proprietari dai veleni, neutralizzandoli o rivelandoli. 

Ma da Oriente, il mito dell’unicorno e delle proprietà salvifiche del suo corno, come è arrivato in Occidente? Grazie a Ctesia di Cnido storico e viaggiatore del V-VI sec. a.C. Nel libro Indika, sosteneva che in India vi fossero asini selvatici grandi come cavalli, dal corpo bianco, la testa rossa, gli occhi blu e un corno in testa lungo un piede e mezzo. Con la polvere ricavata dal corno, si otteneva una pozione antidoto contro i veleni. Bevendo da essi, invece se ne diventava immuni. 

Da allora l’unicorno appare fra le meraviglie dell’India, le stesse presenti nelle gesta di Alessandro Magno e nell’immaginario collettivo del Medioevo. Aristotele, scettico su ciò che non poteva appurare di persona, fece delle analisi comparative anatomiche sulle descrizioni di Ctesia e di altri e disse ne l’Historia animalium che il cosiddetto asino indiano era l’unico animale ad avere zoccolo intero ed un corno. Questo lo avvicinava al cavallo, cosa che contribuì a far nascere nei secoli l’idea dell’unicorno come un cavallo dal lungo corno. Aristotele, però, riportava solo ciò che aveva letto. Fu Plinio nel I sec. d.C., nella sua Naturalis Historia, ad aggiungere il particolare delle zampe elefantine. 

Fonte battesimale, Duomo romanico di Freudenstadt

Il dibattito sull’esistenza dell’unicorno continuò e nel Medioevo mutò da indagine scientifica ad un misto fra realtà e mitologia. Nel Physiologus greco (testo alessandrino del II-IV sec. d.C.), venivano raccolte leggende sugli animali  ed interpretate come allegorie di stampo Cristiano. Qui si legge di un serpente che avvelena l’acqua in cui bevono gli animali e di un unicorno che, segnando la croce con il suo corno, li salva e purifica l’acqua. L’unicorno è allegoria di Cristo che salva l’umanità dal peccato. Ad esso è associata la figura della vergine. Nessuno lo può cacciare. Solo lei gli si può avvicinare ed egli le si rifugia in seno, dove la vergine lo allatta. Nulla ha potuto avere forza su di lui, solo il ventre ed il seno della vergine immacolata. Il suo significato religioso verrà spesso ripreso e verrà raffigurato in tante cattedrali romaniche (es. fronte battesimale del Duomo romanico di Freudenstadt), in cui l’animale rappresenta la vittoria del bene sul male. La sua figura ben si prestava all’immaginazione del tempo e ai miti intriganti e gentili dell’Amor Cortese. Essa fu cercata fra le fonti classiche e cristiane per ricercarne virtù e proprietà e fu così che, dalle descrizioni di animali indefiniti come il monocero, nacque il mito dell’unicorno.

Taddeo Crivelli e altri, Unicorno, dalla Bibbia di Borso d’Este (1455-1461; Modena, Biblioteca Estense, Ms. Lat. 422-423)

Tale figura finì nei bestiari, testi d’ausilio agli artisti nella composizione di un’immagine che doveva contenere specifici richiami interpretativi. Essi fornivano informazioni scientifiche sugli animali ed erano arricchiti da scritti che ne riportavano valenze simboliche e moraleggianti. Oltre ai bestiari, lo ritroviamo nella decorazione di testi sacri, come la Bibbia di Borso d’Este, codice miniato realizzato da Taddeo Crivelli e Franco dei Russi nella prima metà del ‘400. In essa le proprietà salvifiche dell’animale appartengono anche alla famiglia D’Este che aveva purificato le acque con opere di bonifica nel ferrarese. L’animale è rappresentato su un prato racchiuso da siepe . Alle sue spalle un albero di datteri sottolinea la fertilità dei luoghi bonificati, mentre egli immerge il corno in acqua per purificarla.

Francesco del Cossa, Marzo, dettaglio del Trionfo di Minerva (1468-1470 circa; affresco, 500 x 320 cm; Ferrara, Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi)

Sempre a Ferrara, è presente nel portale marmoreo e nelle decorazioni di Palazzo Schifonia (del XII sec.), da Francesco del Cossa. È virtù di purezza nel salone delle virtù. Mentre nel salone dei mesi, nel mese di marzo, due unicorni trainano il trono di Minerva, sottolineando la purezza della dea.

Per quanto riguarda la raffigurazione della vergine accanto all’unicorno come allegoria di purezza, essa è rappresentata in un ciclo di arazzi fiamminghi realizzati a fine ‘400 su sei pannelli. Ciclo commissionato da Jean Le viste e conservato al Museè de Cluny intitolato La dama e l’unicorno e dedicato ai cinque sensi. In ogni pannello la dama, l’unicorno ed un leone con i loro atti simboleggiano i 5 sensi. Non è celebrazione dei sensi, ma monito a non cedere alle tentazioni della seduzione sensoriale. Leone e Unicorno sono le virtù da possedere: Forza e contenimento. L’unicorno è presente anche nell’arte pittorica del Rinascimento. Fra il 1535-1540 Luca Longhi realizza Giovane donna con unicorno. La ragazza, rivolta verso lo spettatore, è rappresentata in un paesaggio idilliaco, mentre tiene con una mano il collo dell’unicorno seduto accanto a lei. Si pensa che la fanciulla rappresentata sia Giulia Farnese (sorella di Papa Paolo III) in una rappresentazione post mortem, in cui, non solo rappresenta la purezza, ma, la vergine con unicorno è anche simbolo della famiglia da due generazioni.

Leonardo, Donzella con unicorno

Il modello del dipinto deriva da un disegno di Leonardo intitolato Donzella con unicorno che, all’interno degli scritti dedicati alla funzione simbolica degli animali, nel descrivere l’unicorno mette in evidenza come fosse un animale sessualmente focoso ed incline a provare sentimenti sessuali per le fanciulle. Ma quando incontra una vergine, si fa ammansire dalla ragazza, diventando simbolo dei piaceri carnali dominati dalla castità. Per questo, è soggetto frequente nei quadri di fidanzamento, simboleggiando la capacità dei fidanzati di dominare le pulsioni sessuali fino al matrimonio. Il corno dell’unicorno era, infatti, associato a simbolo fallico. 

L’irruenza del desiderio sessuale dell’unicorno, che si esplica nel gesto di gettarsi sulle gambe della vergine, emerge nella Fanciulla e l’unicorno del 1604 del Domenichino, affrescato sulla porta d’ingresso di Palazzo Farnese. Rappresenta una fanciulla seduta sotto un albero, mentre abbraccia dolcemente l’unicorno che, mansueto, tiene le zampe sulle sue ginocchia ed il muso sul suo seno. La rappresentazione più famosa di dama con unicorno, però, è Dama con Liocorno, realizzata da Raffaello nel 1504. Probabilmente, il primo ritratto di donna realizzato del pittore. Rappresenta una giovane dai lunghi capelli biondi, dagli occhi cerulei e dalle guance piene, mentre osserva lo spettatore seduta davanti al parapetto di una terrazza dotata di colonne e con sullo sfondo un paesaggio rupestre. È raffigurata come una figura angelica (forse allegoria della castità) e regge in braccio un liocorno. Si è ipotizzato che il gioiello con rubino e perla a goccia pendente, l’abito sfarzoso e la presenza dell’unicorno riportino a Maddalena Strozzi, moglie di Agnolo Doni. Era, infatti, nota la passione del Doni nel collezionare gioielli e l’unicorno  potrebbe indicare il Gonfalone dell’unicorno del Quartiere di Santa Maria Novella, dimora degli Strozzi. 

Gustave Moreau, Les Liocornes (1885; olio su tela; Francia)

A prendere ispirazione dall’Arte Medievale, fu Gustave Moreau:. Egli credeva che essa fornisse simboli che potevano essere usati per spiritualizzare l’arte contemporanea. Così nel 1882, colpito dall’arazzo Dama con unicorno del Musèe de Cluny, iniziò a ritrarre l’animale in molti dipinti. In Les Liocornes del 1885, ad esempio, rappresenta un’isola deserta su cui vivono solo donne ed unicorni. Da lì in poi, il mito dell’unicorno è giunto immutato sino a noi.

Fonti consultate:

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