Questa è la storia di un capolavoro, un capolavoro che ha impiegato ben cinquantotto anni per essere realizzato. Si tratta di un cortometraggio animato che è venuto, finalmente alla luce nel 2003, ma che era stato ideato già nel 1945: nonostante sia giustamente poco conosciuto, è comunque diventato leggenda.
Ma torniamo indietro nel tempo.
Esistono anime destinate ad incontrarsi e a generare qualcosa di sublime, soprattutto se l’incontro avviene fra due personalità affini, che intendono l’arte e la fantasia allo stesso modo. Mi riferisco a Salvador Dalì, uno degli artisti più famosi del secolo scorso, e al visionario produttore cinematografico Walt Disney che, con i sui film d’animazione, ha dato vita ai sogni di milioni di bambini di tutto il mondo.
In una lettera ad André Breton, Salvador Dalì scrisse: “Sono venuto a Hollywood e ho incontrato tre grandi surrealisti americani: i fratelli Marx, Cecil B. De Mille e Walt Disney”.
Era il 1944, Dalì si trovava a Los Angeles, chiamato da Alfred Hitckock, per cui doveva realizzare la scenografia di una scena del film Io ti salverò, che era stata immaginata dal regista in un perfetto stile surrealista. Proprio nella città degli angeli, l’eclettico artista spagnolo partecipò ad una festa organizzata da Jack Warner dove avvenne il fatidico incontro con Walt Disney. Ad accomunare i due e a far scoccare la scintilla fra di loro, furono l’amore per una visione dell’arte surreale, l’enorme creatività che li contraddistingueva ed il desiderio di realizzare insieme qualcosa che concedesse loro l’ammirazione del grande pubblico. Tale desiderio si tramutò presto in un progetto comune che prese il nome di Destino.
Destino era il titolo di un cortometraggio che ebbe inizio nel 1945. Walt Disney lo produsse, il compositore messicano Armando Dominguez ne scrisse le musiche e Dalì ne realizzò le immagini. Affiancato da John Hench (uno degli esperti animatori storici di Disney), infatti, l’artista spagnolo si immedesimò subito nell’universo dell’animazione (che trovò subito a lui così congeniale), ed iniziò a disegnare le tavole che dovevano dar vita al cortometraggio.
Ne nacquero figure contorte ed oniriche, ricche di simboli criptici, di elementi che si sovrapponevano fra loro per mutare in altro: tutto un insieme di idee e scarabocchi che ne illustravano la trama. Però, nonostante Hench e Disney avessero assecondato ogni eccentricità del pittore – come, per esempio, quella di avere in studio animali vivi a cui ispirarsi – e, nonostante Dalì avesse, in pochissimo tempo, dato forma a tantissime idee, purtroppo, dopo solo 8 mesi il progetto venne interrotto.
A causa della guerra, la casa di produzione cinematografica si trovò, infatti, senza i fondi necessari affinché Disney continuasse ad investire su un progetto così ambizioso ed oneroso. Soprattutto se si considera che, per i tempi, forse, il contenuto del cortometraggio sarebbe risultato inusuale, forse ostico, rispetto a ciò che il pubblico era solito vedere ed aspettarsi dalla Disney. Così, malvolentieri, il corto venne accantonato. I soli venti secondi di girato del corto, però, esprimevano già tutta la loro potenzialità.
All’inizio sulle note di una musica malinconica, in un afoso deserto di sabbia chiara, si stagliava lontano, all’orizzonte, il profilo di una montagna. Come se si trattasse di un miraggio, presto, le vette irte della catena montuosa iniziavano ad affievolirsi, e dalla roccia si generava il profilo di una donna. Questa bellissima donna dalle curve sinuose, dai lunghi capelli neri e dai bellissimi occhi tristi contornati da ciglia foltissime, avanzava, poi, con fare deciso, verso lo spettatore, ammaliandolo. Il suo sguardo, però, volgeva, in realtà ad una piramide di pietra, situata davanti ai suoi occhi, in cui era raffigurato il dio Crono, il tempo. La donna, allora, scuotendo la testa, chiudeva gli occhi e si lasciava andare nella corrente del destino.
Il progetto Destino fu ripreso da Roy Disney, pronipote di Walt, che ne comprese la maestosità e lo salvò dal rischio di andare perduto. Negli anni 2000, mentre era alla ricerca di materiale per realizzare il sequel di Fantasia, mentre si trovava nel Morgue (l’archivio dove sono custodirti i progetti Disney incompiuti), fortuitamente, si imbatte in Destino. Affascinato da quei venti secondi di girato, decide che quel capolavoro deve essere terminato. Richiama così Hench (ormai in pensione) e gli affida la conclusione del progetto al distaccamento parigino della Disney
Gli studios di Parigi si sono occupati infatti del ripristino e della realizzazione del cartoon, con la produzione di Baker Bloodworth, la direzione di Dominique Monfrey e l’ausilio delle nuove tecnologie digitali. Nel 2003 e, finalmente, dopo cinquantotto anni la vera storia di Destino poteva, finalmente, compiersi e tornare ad affascinare il mondo intero. Finalmente, anche noi saremmo stati partecipi dei pensieri, delle azioni e dei desideri della bellissima ragazza dai capelli neri e dagli occhi malinconici. Dagli scarabocchi, dagli appunti e dai disegni di Salvador Dalì – conservati negli studios Disney -, infatti, riemergeva finalmente la trama della storia che aveva al centro della narrazione la estenuante ricerca dell’amato da parte della ragazza. I due amanti si sarebbero poi cercati, nell’onirica dimensione dei loro desideri, affrontando le insidie e le prove che il tempo, rappresentante della caducità della vita umana, e il destino – burattinaio dell’esistenza – avrebbero messo sulla loro strada.
La trama ritrovata di Destino
La scena d’inizio raffigura la ragazza, Dahlia, lasciatasi trasportare nel mondo dell’inconscio, che tenta di abbracciare la piramide di Crono: vuole afferrare il tempo e fermarlo (forse) al momento della giovinezza – che adesso vede sfuggirle senza che abbia potuto ritrovare il suo amore perduto. Inizia così un percorso onirico – e romantico: la protagonista sale gli scalini di una torre a spirale, affollata da manichini antropomorfi (che simboleggiano gli amori futili e falsi), Dahlia deve superarli, cercando di non impigliarsi, mentre creature a forma di occhi – allegoria della società giudicante – la circondano.
Spaventata, la giovane si rifugia, allora, dentro una conchiglia – simbolo di femminilità. Lungo tutto il cortometraggio si alterneno, infatti, sia simboli maschili (la piramide, la torre) che simboli femminili (la conchiglia, la fontana), ad evidenziare un rapporto – quello uomo/donna – che la sorte si ostina a mantenere dicotomico.
Segue uno dei momenti più commoventi della rappresentazione: nell’estremo desiderio e tentativo di conciliarsi con il tempo–Cronos, la ragazza si congiunge invece con l’ombra di una campana – comparsa sulla torre – e proiettata al suolo, come se così facendo potesse allinearsi con il rintocco delle ore che scorrono. Il gesto disperato si rivela per lei liberatorio. La fanciulla si lascia andare ad una danza così sensuale e spensierata, che per la prima volta il destino cede.
La statua di Crono, allora, si sgretola e lascia libera dai legacci del fato la figura di uomo. Se i tratti dell’uomo rimangono misteriosi, lo stesso non è per la sua intenzione: raggiungere l’amata, nonostante un uccello picchietti sull’orologio al polso come a ricordargli la caducità della sua condizione. Dopo solo pochi intensi sguardi e qualche passo l’una verso l’altro, l’idillio però, termina e naufraga nelle sabbie mobili del deserto che, ritraendosi, fa emergere una cinta muraria che separa di nuovo gli amanti. La disperazione della ragazza si trasforma allora in un piccolo stormo di rondini che raggiunge l’amato e lo conduce fuori dalla prigione vincendo la sorte. Una volta libero, l’uomo, incarnatosi infine in un giocatore di baseball, svela dunque la propria identità. Nel frattempo, Dahlia si intravede dall’accostamento di due volti di profilo (forse quelli di Dalì e di Walt Disney?), e sotto gli occhi increduli dell’uomo, assume la forma di in una pallina da baseball che lui può colpire con la propria mazza, scappando insieme a lei lontano da tutto.
Finalmente soli, finalmente insieme possono stringersi in un abbraccio. Ma è solo un attimo: il tempo ritorna inesorabile e si riappropria della ragazza che si dissolve, lasciando soltanto la sua veste – e amore e rimpianto – tra le braccia di Crono. Il destino ha avuto la meglio sui due amati, e la statua di Crono campeggia come protagonista indiscussa sullo schermo. La sua solidità e imperscrutabilità presentano però una crepa: all’interno di essa si intravede il profilo della campana, tornata sulla torre, che rimanda chiaramente all’immagine del corpo della donna.
Nulla è perduto, c’è ancora una speranza e chissà, prima o poi, la fanciulla potrà avere la meglio sul suo destino.
La storia della nascita di questa struggente fiaba, frutto della collaborazione fra la fervida immaginazione di Dalì e dall’intuizione di Disney, viene approfondita e raccontata in un bellissimo documentario – presente su YouTube – dal titolo Dali and Disney | A Date with Destino (Full Documentary).
Fonti consultate
Francesca Adamo e Caterina Pennestrì, Il Destino di un incontro: Salvador Dalì e Walt Disney, Mimesis edizioni, 2018;
Marco Bussagli, Disney e l’arte, in Art e Dossier n. 349, Giunti editore, dicembre 2017;
Marco Gentili, Destino. Storia di un incontro surreale nel senso letterale del termine, academia.edu, 2021.