Non solo donne ma anche: della discriminazione multipla

Non si può, ahimè, parlare di donne senza parlare di discriminazione; radicalmente assodato ormai nella società odierna, si dà talmente tanto per scontato che non si mette quasi più in discussione. Quello che però è ancora considerato il grande assente dal dibattito pubblico è il concetto di discriminazione multipla, contro cui le donne, pur non sapendolo, devono quotidianamente confrontarsi.

Per discriminazione multipla si intende generalmente riferirsi a casi in cui un individuo sia sottoposto a discriminazione per più di un fattore. Makkonen (2002) ha provveduto a sistematizzare tale concetto, ipotizzando l’esistenza di più tipologie di discriminazioni multiple:

  • Discriminazione multipla: anche definita ordinaria, tale tipologia di discriminazione si verifica quando una persona subisce una discriminazione sulla base di più fattori ma in momenti diversi;
  • Discriminazione additiva: in questo caso, chi subisce la discriminazione è sottoposto a tutti i fattori di discriminazione congiuntamente che tuttavia vengono separatamente intesi;
  • Discriminazione intersezionale: tale categoria di discriminazione ha luogo quando i molteplici fattori a causa dei quali si viene discriminati non sono tra loro ormai più scindibili.

Va da sé che, se già la donna di per sé è generalmente più soggetta a subire discriminazioni, la possibilità che essa sia vittima di più discriminazioni contemporaneamente ha una maggiore probabilità di discriminarsi.

Nel caso di specie, si prenda l’esempio di una donna che opera nel campo scientifico, e in generale in ambito STEM (acronimo utilizzato per parlare delle discipline scientifiche nel loro complesso che sta per Science, Technology, Engineering e Mathematics); il solo fatto di essere di sesso femminile la pone innanzitutto in una posizione di minoranza, e, per ciò stesso, di discriminazione. In generale, tuttavia, i dati disponibili spiegano come una maggiore partecipazione delle donne alle carriere STEM potrebbe senz’altro portare ad una crescita economica significativamente maggiore: secondo lo European Institute for Gender Equality, uno dei più importanti think tank europei ad occuparsi di questioni di genere, la crescita del PIL pro capite nei Paesi membri dell’Unione Europea dovuta al solo incremento della presenza femminile nel campo scientifico-tecnologico sarebbe di 2,2 punti percentuali, fino a raggiungere il 3% nel 2050. L’occupazione, inoltre, crescerebbe, portando il numero di occupati da 850 mila a 1 milione e 200 mila persone entro il 2050.

Le cose rischiano di complicarsi se al fatto di essere donna si aggiunge anche la discriminazione di tipo razziale. Se già, difatti, questo è di per sé un fattore discriminatorio di cui la società odierna fa ancora fatica a liberarsi, nel caso in cui questo si aggiunga al fatto di essere di sesso femminile e di essere attiva nel campo scientifico-tecnologico il pericolo di non riuscire a scindere tutti questi elementi si fa concreto, portando a casi di discriminazione intersezionale.

Gli strumenti di contrasto della discriminazione attualmente esistenti

Qual è la cornice legale all’interno della quale ci si muove quando si parla di questo argomento?

In primo luogo, guardando a livello internazionale, non si può non citare i primi due articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che recitano All human beings are born free and equal in dignity and rights (Articolo 1) e Everyone is entitled to all the rights and freedoms set forth in this Declaration, without distinction of any kind (Articolo 2).

Unico problema: tale strumento, in particolare, non rende disponibili adeguati strumenti a tutela dei diritti per il singolo individuo; questa è, peraltro, la critica che più in generale si fa agli strumenti giuridici a carattere universale.

In ambito europeo però le cose cambiano: sia nell’ambito dell’Unione Europea sia in seno al Consiglio d’Europa si forniscono anche alle persone fisiche mezzi per ricorrere direttamente alle corti europee.

Nello specifico, l’Articolo 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani specifica che i diritti e le libertà garantiti dalla Convenzione devono essere assicurati without discrimination on any ground such as sex, race, colour, language, religion, political or other opinion, national or social origin, association with a national minority, property, birth or other status, e il Protocollo n°12 del 2005 ad essa allegato estende il divieto di discriminazione a tutti i diritti e le libertà garantiti a livello nazionale in ciascuno degli Stati aderenti alla Convenzione, anche quelli non specificamente considerati all’interno della Convenzione.

Per i Paesi membri dell’Unione Europea si applica la Carta dei diritti fondamentali, in vigore dal 2001 e con il Trattato di Lisbona equiparata al valore giuridico dei Trattati istitutivi dell’Unione Europea. Il suo Articolo 21 proibisce la discriminazione intesa in senso ampio, e, per rafforzarne la portata, due direttive europee, la Employment Equality Directive e la Racial Equality Directive, si occupano in particolare della discriminazione in ambiti specifici, come ad esempio quello lavorativo.

Sulla carta sì, ma nella pratica?

Se gli strumenti giuridici attualmente esistenti consentirebbero di contrastare il fenomeno della discriminazione, e, nello specifico caso, la discriminazione multipla cui soprattutto le donne sono sottoposte, nella pratica non esistono tuttavia degli strumenti atti a facilitare tale processo. In particolare, le donne non sempre sono conscie dei diritti di cui sono detentrici e, ancora troppo spesso, provano vergogna nel denunciare l’accaduto.

Come risolvere il problema?

In primo luogo, il ruolo che qui può svolgere una adeguata informazione è enorme; questa può avvenire sia attraverso le più importanti istituzioni sul campo a tutela dei diritti delle donne, come UN Women, l’Agenzia ONU che si occupa della protezione dei diritti delle donne, e il sopracitato European Institute for Gender Equality, per rimanere in ambito europeo.

Quello che conta, soprattutto, è creare delle connessioni tra donne nell’ambito di network locali che offrano vicendevole supporto e assistenza a chi è vittima di discriminazioni, di qualunque tipo esse siano. Solo agendo a livello locale, infatti, è più facile che si prenda maggior contezza del problema per poi adeguatamente trovare una soluzione in ambito sovranazionale.

Fonti consultate

https://www.coe.int/en/web/gender-matters/intersectionality-and-multiple-discrimination ultimo accesso 10 febbraio 2023

https://www.unesco.org/en/articles/unesco-research-shows-women-career-scientists-still-face-gender-bias ultimo accesso 10 febbraio 2023

https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2015/05/Approfondimento-Barbara-Giovanna-Bello_-Maggio-2015.pdf ultimo accesso 10 febbraio 2023

https://eige.europa.eu/gender-mainstreaming/policy-areas/economic-and-financial-affairs/economic-benefits-gender-equality/stem ultimo accesso 10 febbraio 2023

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