L’importanza di essere Syd Barrett

Syd è una di quelle persone difficili da tratteggiare.
Cioè, tu che leggi come cazzo lo racconteresti un tipo come lui? Ed in fin dei conti, come potresti raccontare qualsiasi altro essere umano dandogli la tridimensionalità che gli spetta? Barrett, poi, pare lo abbia già fatto abbastanza attraverso le impronte – tra genio e follia – che si rincorrono sui solchi di un vinile.

Una leggenda, quella del fondatore e frontman degli arbori dei Pink Floyd (quelli dello psychedelic trasgressivo e travolgente), alimentata da voci che lo volevano sofferente di una qualche forma di schizofrenia. Io non sono uno psichiatra, ma in molti ne parlano quindi è evidente come oggi si abbia tanta gente studiata. Però se sei qui per avere un’analisi post-mortem non posso aiutarti né io né quelli di cui cliccherai altri eventuali link, perso nel frenetico mondo dei motori di ricerca.
Una cosa che posso permettermi di dire è che in effetti aveva tutta l’aria del poète maudit che – per inciso – è la stessa che mi fa perdere la testa per esseri che in seguito scopro essere solo validi cazzoni. Quasi mai in senso letterale.

Quello che ai Pink Floyd ha dato il nome, e quello che poi si è allontanato a causa dell‘aggravarsi di uno stato mentale che non è mai stato veramente studiato fino in fondo. Il Syd spesso assente, glaciale, il Syd visionario, quello stravagante e problematico.

Cordialmente, Crazy Diamond.

Barrett si esibisce con i Pink Floyd a Londra, 1966 c.ca – ph. Anthony Stern

Una figura densa di fascino, dai contorni emblematici e che sfumano fino a diventare dissolvenza allo stato puro. E mi sono spesso chiesta se Barrett, piuttosto, fosse in grado di percepire ogni cosa al di là di quanto l’eccesso comune di razionalità ci porti a concepire.

Ricordo quando nei primi del 2000 (o forse erano gli ultimi dei ’90), su vari tabloid, compariva qualche sua foto in giardino, lo scatto rubato da qualcuno che voleva fare lo scoop dell’ Ehi, guarda come s’è ridotto ‘sto qua! I giornaletti hanno sempre bisogno di qualche storia sconcertante da raccontare.
A me dava semplicemente la sensazione di una persona profondamente sola e mi nauseava che qualche coglione ci lucrasse su.
Una persona profondamente sola oltre che complicata, come quasi tutti gli artisti che galleggiano nel loro cosmo di visioni ed astri, e quando entrano a contatto con la realtà generano uno spontaneo moto di sofferenza. Sul povero Syd, le speculazioni non sono mica state pochine. Lui che ha preceduto Gilmour ai microfoni dei Pink Floyd e che ha gettato le basi della british psychedelic, che quella fama non l’amava né la reggeva, la cui scia si è estinta troppo in fretta.
Il Syd affamato di creatività, dissonanze e distorsioni; quello che esalta l’erotismo dei giochi di parole e di onomatopee che rincorrono assonanze; quello le cui melodie vorticano e si alternano tra acidità e morbidezza come quando sei sulle montagne russe ed il cuore ti salta via dal petto.
Lo stesso Barrett percepibile anche nei lavori dei PF che non lo vedono più in formazione, e forse proprio per questo lasciano quell’opportuno velo di amarezza tipica di un cielo gonfio di pioggia. Non so se hai presente la sensazione, magari sì.

Dopo che Barrett uscì dal gruppo, si racconta che lo psichiatra scozzese RD Laing al secolo, Ronald David Laing – lo avesse dichiarato incurabile basandosi sulla registrazione di un’intervista che la band sottopose alla sua attenzione. Purtuttavia, non fu in grado di formulare una diagnosi certa (ma dai?). ‘Sto tipetto qui veniva associato al movimento anti-psichiatrico, ovvero tutta quella serie di approcci che vanno in netto contrasto con teorie e pratiche che facevano parte dell’ortodossia psichiatrica. Però non scordiamoci che, all’epoca, ancora e purtroppo i fenomeni psicopatologici erano trattati con terapie farmacologiche belle strong e con l’elettroshock. Insomma dai, ancora di strada se ne doveva fare parecchia.

[Tra l’altro, curiosità: i Gentle Giant scrissero il pezzo Knots (contenuto nell’album Octopus del 1972) ispirandosi proprio ad alcuni scritti di Laing.]

Syd Barrett, 1969 – ph. Mick Rock

Tra le persone che s’imbatterono in Barrett, esiste una scissione in un paio di fazioni: chi lo descrive come un Cristo Compagnone perso ad arrampicarsi sugli alberi, ridere e scherzare, un personaggio eccezionalmente acuto e di, di contro, lo dipinge come perso e basta.
Lo scrittore Nick Kent, tra le righe del suo libro Dark Stuff, ci dà la rappresentazione di un Syd assente. Kent ripercorre una sera in cui rimase paralizzato ad osservare con incanto Barrett sul palco, durante un’esibizione con i Pink Floyd, e tutto il carisma che riusciva ad emanare. A fine live volle scambiarci quattro chiacchiere riguardo un progetto musicale chiamato Stars, che l’artista portò avanti per breve tempo. La realtà con cui si scontrò fu desolante: lo sguardo di Syd era così andato da bucare la parete alle spalle di Kent, uno sguardo così sinistro da poter togliere la vernice dal cofano di un’auto nuova di zecca. Syd aprì bocca per dire Ho mangiato uova e pancetta per colazione, con tono solenne come se stesse recitando un mantra. Nick – immagino piuttosto spaesato – gli ripropose la domanda, ma non ottenne nient’altro che un Mi dispiace! Non parlo francese.
E beh, ciccino… non stava messo granché bene.

L’esperienza dei Pink Floyd che incontrano Barrett tra le mura di Abbey Road durante la sessione di registrazione di Wish You Were Here (a.D. 1975, precisamente il 5 giugno) non è dissimile dall’esperienza di Kent. In quell’occasione, Syd – che già si era allontanato dal gruppo e aveva abbandonato l’industria musicale (The Madcap Laughs e Barrett, i suoi album da solista, uscirono cinque anni prima) – si era presentato lì in maniera del tutto inaspettata, con l’aria parecchio trasandata tanto che i suoi stessi compagni stentarono a riconoscerlo e pensarono, piuttosto, che si trattasse di un membro dell’equipe dello studio. Scomparve esattamente nello stesso modo in cui si era presentato: in silenzio. Ci volle qualche lungo minuto perché Gilmour lo riconoscesse, seguito da un pianto di Waters dopo aver constatato in che condizioni si trovasse, come si fosse trasformato: il suo corpo era presente tra quelle mura, al contrario della sua mente che pareva essere totalmente svanita. E quello, in effetti, non fu esattamente l’ultimo incontro: Roger lo beccò casualmente un paio d’anni dopo da Harrods, mentre acquistava dei dolci. Ma Syd scappò via da lui, senza scambiare una parola.

Era diventato il triste guscio di un veggente psichedelico, la cui visione distorta aveva portato il gruppo alla gloria iniziale tanto quanto a farlo diventare un dandy che raggiunge la stella più brillante e luminosa del cosmo, fin quando perde l’equilibrio e si schianta violentemente sulla Terra.
La causa di questo suo tracollo è probabilmente imputabile all’abuso di droghe e, nel corso degli anni, si è ipotizzato potesse essersi aggiunta ad una qualche forma di schizofrenia.

Syd Barrett, 1969 – ph. Mick Rock

Come ti dicevo, bell’amico che leggi, fare un’analisi post-mortem è da cialtroni. Cosa che non sono. Cosa che non sei. [Spero.]
Però c’è chi ha impiegato la sua concentrazione sullo studio del Caso Barrett, andando ad indagare (indubbiamente, più di quanto fece Laing) su quelle che potrebbero essere state le cause scatenanti del suo declino e della sua salute mentale precaria. Il grave cedimento mentale di Syd, poco ma sicuro, non aveva l’abuso di droghe come fulcro primordiale; invece è nettamente più probabile che i sintomi che presentava fossero stati semplicemente esacerbati dagli acidi. Schizofrenia?

L’indagine condotta da due italiani, Mario Campanella – presidente di Peter Pan Onlus – e la psichiatra Donatella Marazziti, solleva però la ragionevole ipotesi che Syd, piuttosto, presentasse tratti Asperger, tratti tra l’altro abbondantemente visibili ben prima del declino.

Campanella afferma che Syd non fu mai sottoposto a ricovero in alcun ospedale psichiatrico – com’era invece stato affermato – né ha mai ricevuto una diagnosi di psicosi. Non mostrava visioni o allucinazioni, né comportamenti disorganizzati. Nonostante l’isolamento sociale, le sue capacità cognitive sono sempre rimaste intatte, tanto che per diversi anni ha prodotto dipinti e composizioni musicali.

Nella sua indagine, cita inoltre lo scrittore Tim Willis che, nel suo libro Madcap: The Half-life of Syd Barrett, ha evidenziato come fin dall’infanzia e dall’adolescenza – nonostante le documentazioni siano povere – l’artista mostrasse comportamenti bizzarri come camminare sulla punta dei piedi e vestirsi per lungo tempo con gli stessi abiti, ed anche di come fosse solito indossare gli stessi pantaloni in ogni stagione, con apparente insensibilità agli sbalzi di temperatura. Presentava anche una serie di tic e rituali. Fin da bambino mostrava scarsa empatia alla quale si aggiungeva la difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti. Campanella, in più, ne attenziona i comportamenti paraverbali e le particolari gestualità del corpo o, ancora, la tendenza a mantenere lo sguardo fisso e diretto con l’interlocutore.
Ricorda però che Barrett mostrasse anche alcune caratteristiche positive dell’AS (Asperger’s Syndrome), tra cui spicca una schietta onestà.

In un periodo delicato come quello dell’adolescenza – tra i sedici ed i diciassette anni – iniziò ad assumere (con larghissimo abuso) LSD, marijuana e oppiacei.
Sostanze che, chiaramente, peggiorarono inesorabilmente il suo quadro clinico e andarono ad incrinare una condizione che già di partenza risultava precaria, innescando a conti fatti il crollo psichico di cui tutti sappiamo.
Gli studi condotti da Campanella e Marazziti fanno decisamente propendere per un Asperger a basso funzionamento, una patologia dello spettro autistico che può portare a ritiro sociale.

Campanella ci tiene anche a specificare che quello dell’Asperger a basso spettro sia un mondo variegato nel quale esistono tantissime condizioni compatibili con la normalità e di cui parla in termini di una peculiare condizione psichica facendo intendere che andò ad influire, con poca ombra di dubbio, sulla sua produzione musicale e artistica e sottolineando anche quanto la sinestesia sia stata parte fondamentale nel modo che ebbe Syd di esprimere il suo ingegno, con l’impeccabile capacità di produrre suoni e immagini sulla base delle molteplici esperienze sensoriali provate.

Però, amico mio, dammi retta (ripongo tanta fiducia nel genere umano, perciò se ti è possibile non tradirmi… almeno tu): adesso che, come l’ingordaccio, ti sei nutrito dei fattarelli, rinchiudili da canto e occhio, che Syd Barrett non era le sue patologie. Non lo è mai stato.

Vuoi sapere chi era davvero questo strambo figuro? E l’importanza immensa che ha avuto?
Abbassa le tapparelle nella maniera più violenta che conosci, manda il globo a fanculo, infila le cuffie più potenti che hai (accenditi pure una bomba, se ti garba) e…
The Piper at the Gates of Dawn!

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