50 anni dei Bronzi di Riace: i guerrieri venuti dal Mare

Eteocle e Polinice? La tesi di Daniele Castrizio e le ricostruzioni policrome di Vinzenz Brinkmann per il Metropolitan Museum di New York

Il 16 luglio del 1972, Stefano Mariottini, durante un’immersione, a 8 m di profondità e a 200 m dalla costa di Riace, scoprì due dei più importanti capolavori assoluti dell’arte greca: i Bronzi di Riace. Le due statue, conservate ora al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, si presentarono quasi integre nella loro nudità eroica, in un eccezionale stato di conservazione.

Ritrovamento Bronzi di Riace, 16 luglio, 1972, Riace

Alte 1,98 e 1,97 metri, raffigurano due uomini con barba e capelli ricci, il braccio destro disteso e quello sinistro piegato. Realizzate in bronzo dallo spessore molto tenue, il realismo, la dovizia e la precisione dei particolari denotano la mano di un maestro della scultura. Alcuni particolari sono, infatti, realizzati in argento (i denti della statua A), in rame (i capezzoli, le labbra e le ciglia di entrambe le statue e le tracce di una cuffia sulla statua B), in calcite bianca (gli occhi), in pasta vitrea (le pupille) ed in una pietra di colore rosa (la sacca lacrimale). A concludere la loro iconografia erano alcuni elementi: un elmo, uno scudo e una lancia da oplita

Per gli studiosi, è plausibile che i Bronzi furono gettati in mare durante una burrasca per alleggerire la nave che le trasportava, o che affondarono con essa, mentre elmo, scudo e lancia furono smontati (e per questo non rinvenuti con le statue), per permettere di adagiare le due statue sulla schiena e facilitarne il trasporto. Dal’84, dopo il primo contributo del Ministero dei Beni Culturali circa il rinvenimento delle due statue e le operazioni di restauro effettuate su di esse, iniziarono le prime ipotesi di archeologi e studiosi circa la collocazione, l’attribuzione e la paternità dei Bronzi. Tante le tesi degli studiosi: chi sosteneva fossero originali greci, chi di epoca Ellenistica e chi romana. Diverse anche le tesi su chi raffigurassero: atleti vittoriosi, eroi eponimi o guerrieri. Anche sulla paternità delle statue gli studiosi non concordavano. C’era chi dava ad entrambi unica paternità (Mirone o Fidia) e chi no. 

Bronzi A e B, V sec. a.C., Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria

Dopo il restauro del’92-95, lo studio sulle terre di fusione, rimosse dai bronzi per evitarne il deterioramento, ha mostrato, non solo che le statue sono state eseguite con il sistema di fusione diretto che prevedeva una grande sicurezza dei mezzi da parte dell’artista (in caso di errore, non garantiva l’artista attraverso l’uso di copie riutilizzabili delle matrici), ma anche che le terre di fusione utilizzate per i due bronzi furono raccolte a distanza di pochi metri l’una dall’altra, ad Argo, dove furono realizzate. Ciò, insieme al loro atteggiamento simmetrico è prova dell’idea di un gruppo statuario unico. Inoltre, le proporzioni slanciate tipiche del periodo Severo, ha portato la maggioranza degli studiosi a concordare che esse siano originali greche del V sec. a.C.

Convegno per i 50 anni dei Bronzi

I due eroi venuti dal mare, fra le sculture antiche più famose al mondo, celebrano, quest’anno, i 50 anni dalla loro scoperta. E, poiché, esse da sempre hanno avuto un eco così forte, per celebrarle, il  7 luglio alla Camera dei Deputati si è tenuto Convegno per il 50esimo anniversario in cui, Daniele Castrizio, archeologo e docente di Numismatica presso l’Università di Messina, ha esposto la sua ipotesi ricostruttiva dei Bronzi che pare essere una delle più accreditate.

La tesi di Daniele Castrizio

Bronzo A – Sulla testa vi sono elementi che permettono di ricostruire gli attributi del capo: una grossa fascia sopra le tempie e un foro con un perno di bronzo sulla sommità della testa. La grossa fascia si è ipotizzato potesse essere un diadema (striscia bianca di tessuto che indicava sacralità o potere regale). Ad indicare che non potesse trattarsi di un diadema, è l’assenza dei due lembi della benda svolazzanti sul collo (l’elemento più caratterizzante di essa) ed il fatto che il diadema è sempre raffigurato più stretto. Probabilmente, essa non era altro che una pesante fascia di lana che proteggeva il guerriero dal metallo dell’elmo. Non era liscia, ma presentava una sporgenza triangolare combaciante con l’angolo che, sull’elmo corinzio, si formava tra il paranuca e le paragnatidi (protezioni per le guance). A riprova di ciò, la presenza sulla nuca della statua di una larga base di appoggio su cui doveva appoggiare il paranuca. Il foro con perno sulla sommità della nuca, serviva a  fissare l’elmo, se no poco stabile. Se i riccioli laterali dei capelli sono fusi ad uno ad uno per poi essere precisamente saldati sopra le orecchie, la capigliatura sulla sommità della testa, poiché doveva essere coperta, è realizzata con meno attenzione. L’elmo corinzio stava in una posizione rialzata sulla fronte in maniera innaturale. Tale strana posizione dell’elmo, serviva a per far vedere il viso, identificare il personaggio e ad impedire che agenti atmosferici o urti accidentali lo spostassero e facessero cadere. 

Bronzo B – La stabilità dell’elmo è data dalla forma allungata innaturalmente della calotta cranica. All’altezza dei fori per gli occhi sull’elmo corinzio, la testa presenta un alloggiamento per un tassello rettangolare con ribattute e, sulla fronte, vi è un triangolo che copre i capelli, con le medesime ribattiture a simulare una pelle conciata. Ciò fa dedurre che fra elmo e testa vi fosse una specie di cuffia di cuoio. A testimoniarlo anche il fatto che le orecchie non sono eseguite con la solita precisione e maestria, ma abbozzate e presentano il foro di un chiodo per fissare un elemento esterno. Sulla barba è presente un incavo che fa, invece, pensare ad un sottogola allacciato sotto il mento. Un appoggio sotto la nuca, al di sotto dell’appoggio dell’elmo e due dietro le orecchie testimoniavano invece, la presenza di un paranuca a ricciolo. Esso è presente nelle monete e nella ceramica del V e VI sec.aC., in cui, sotto l’elmo corinzio, a volte, vi è un caschetto in cuoio (Kyné) con paraorecchie e paranuca a ricciolo. Ciò è importante per la ricostruzione ed interpretazione del bronzo, poiché la Kynè era il simbolo con cui si contraddistingueva lo stratego o il comandante dell’esercito di una polis greca. 

Bronzi di Riace, primo piano volti

Scudi – In entrambi i Bronzi, sono ancora presenti sul braccio sinistro il porpax (con cui si imbracciava lo scudo) e le maniglie che servivano a renderne più salda la presa. Lo scudo doveva essere un grande e pesante hoplon, tipico del fante oplita della falange, la parte più importante dell’esercito delle poleis greche del V sec. 

Le armi – Fra le varie ipotesi formulate molti credevano tenessero ramoscelli d’ulivo, altri una spada o un akontion (giavellotto). La spada a tracolla con Bandoliera (parazonion), dato che non ci sono tracce sulle statue che possano testimoniarne la presenza, è da escludere. Così come è da escludere anche l’idea del giavellotto. Essa è derivata da segni sulla mano destra dei bronzi che hanno fatto ipotizzare  fossero per il fissaggio di un ankyle (corda che aumentava la propulsione e precisione del lancio dell’arma). Ma, per la mentalità greca, era offensivo per un eroe,  l’utilizzo di armi da lancio, in quanto, non permettevano di mostrare la propria aretè in uno scontro vis à vis con il nemico ed erano, quindi, considerate tipiche di personaggi privi di coraggio, dei mercenari stranieri o di coloro appartenenti a classi sociali basse. L’arma che tenevano in mano i Bronzi, probabilmente, era una dory (pesante lancia oplitica) di cui rimangono i segni sull’avambraccio. Il Bronzo A la teneva fra il dito indice e quello medio, così da non fare toccare la punta inferiore dell’arma con il terreno e non rischiare di spuntarla. Dei perni fissati alle dita, servivano per sorreggere meglio la lancia, priva di appoggio. Il Bronzo B, invece, teneva la lancia nel palmo della mano. La lancia si ruppe quando la statua cadde sul fianco destro e le due metà furono riparate con stagno fuso e mastice.

Interpretazione:  la stretta affinità fra le due statue, che si assomigliano tra loro perfettamente, non somigliando ad altro di noto, ha fatto ipotizzare che derivino dalla mano dello stesso artista. Le certezze che abbiamo su di loro sono che: 

1) sono state visibili per molti anni. In epoca romana si ruppero le caviglie del Bronzo B che cadde rotolando sul fianco destro. Nella caduta, si ruppe il braccio destro del Bronzo, che, dopo un accurato calco, fu fuso nuovamente con il corpo, come testimoniano  il diverso colore del bronzo del braccio e il diverso spessore del metallo (tipica tecnica di epoca romana); 

2) L’esame delle terre di fusione contenute all’interno delle statue, ha dimostrato la certezza che esso furono eseguite ad Argo

3) Nonostante siano state esposte per molti secoli, di esse non vi sono copie in marmo. 

4) Il Bronzo A rappresenta un oplita, il Bronzo B un re guerriero (identificato dalla Kyné sull’elmo) e che, seppur diversi, sono volutamente simili perché realizzati per essere visti insieme.

Trattandosi di un gruppo statuario posto ad Argo, poiché il mito nazionale argivo era quello dei Sette contro Tebe (unico luogo in cui i sette condottieri ricevettero culto pubblico come eroi), i due bronzi  potrebbero essere Eteocle e Polinice, i due figli di Edipo che si contesero il trono di Tebe alla morte del padre.  Secondo il mito, avrebbero dovuto regnare sulla città ad anni alterni, ma Eteocle terminato il proprio anno di regno, si rifiutò di dare il trono a Polinice che, adirato, si rifugiò ad Argo, dove sposò la figlia del re. Questi, organizzò una spedizione di sette valorosi condottieri per costringere Eteocle a consegnare il trono a Polinice. Ma i due fratelli si uccisero a vicenda in battaglia e a conquistare Tebe e vendicare i propri padri, furono, poi, gli Epigoni, i figli dei Sette. Secondo Taziano nell’opera ad Graecos e secondo Publio Papinio Stazio nella Tebaide, la prima raffigurazione dei fratelli fratricidi fu quella di Pythagoras di Reggio che, data l’estraneità del mito nella polis italiota, sicuramente la realizzò ad Argo. In Stazio, all’approssimarsi del duello fra i fratelli, interviene la madre Giocasta per dividerli. La descrizione ricalca quella del gruppo statuario di Pythagoras, che sicuramente, funse da modello visivo per il poeta. A conferma di ciò, in alcuni versi, due elementi che ne sono la prova: lo sguardo ostile presente anche nel Bronzo A che mostra minaccioso i denti e l’elmo del re, non attestato nell’uso romano e che richiama la Kynè del Bronzo B. Per quanto riguarda invece i modelli tipologici, lo scontro fra Eteocle e Polinice, di solito, è rappresentato nel momento della morte dei due fratelli, non nel momento precedente, come nel gruppo Statuario. Solo una classe di urne cinerarie del II sec. d. C. sembra riferirsi al gruppo bronzeo. Anche in essi, Giocasta tenta di impedire il duello e la posa dei due fratelli sull’urna, somiglia a quella dei Bronzi. La somiglianza fra i Bronzi, non è, dunque, mancanza di fantasia da parte dell’artista, ma, l’intenzione di voler rimarcare il rapporto di parentela fra i due personaggi. Il bronzo A Polinice (in greco, molte contese) è stato volutamente rappresentato sprezzante a mostrare i denti e con la presa della lancia in modalità di difesa. Mentre, il bronzo B Eteocle è con la kynè simbolo di potere assoluto ed oggetto del contendere. Egli, più maturo del fratello, è pensoso, sembra conscio del destino che attende entrambi e, perciò, tiene la lancia in posizione di combattimento. Se l’ipotesi che i Bronzi facessero parte del gruppo statuario di Pythagoras fosse vero, si risolverebbero tanti enigmi relativi alle due statue, ma si spiegherebbe anche perché, nonostante il gruppo fosse stato visibile per secoli, non fu oggetto di attenzione da parte dei copisti, dato che dallo steso Taziano fu denominato maledetto

Ricostruzioni policrome dei Bronzi

Sempre per i 50 anni dei Bronzi, il 12 luglio, presso la Curia del Foro romano, si è tenuto un altro Convegno scientifico cui hanno presenziato la Direzione Generale dei Musei, il Parco Archeologico del Colosseo, il Museo archeologico Nazionale di Reggio Calabria e il Metropolitan Museum di New York. Nel Convegno l’archeologo tedesco Vinzenz Brinkmann (capo del dipartimento di antichità della Liebieghaus Skulpturensammlung e massimo esperto al mondo di policromia dell’antichità), ha presentato una copia bronzea della testa del Bronzo A, da lui realizzata, insieme ad un video che il Metropolitan Museum di New York ha realizzato per l’occasione, sulla mostra Chroma Ancient Sculpture in color, in corso a New York e dedicata alla Policromia delle sculture antiche. Per le ricostruzioni della mostra, che comprende due copie perfette dei Bronzi, Brinkmann si è avvalso di nuove e sofisticate tecnologie (laser scanner millimetrico e rilievo 3D), che consentono di mostrare i colori originari delle statue, private dagli effetti del tempo e dell’ossidazione.

Tutto ciò, sembra finalmente porre luce sugli anni di buio e mistero che hanno avvolto i Bronzi di Riace, ma chissà ancora quante altre meravigliose sorprese la ricerca archeologica ci riserva. Confidiamo nella speranza di poterli ammirare un giorno nel loro originario splendore!

Fonti consultate

I Bronzi di Riace, museoarcheologicoreggiocalabria.it;

Daniele Castrizio, Guida alla Statuaria Reggina, Falzea editore, 2011;

1972-2022. A 50 anni dalla scoperta dei Bronzi di Riace. Una nuova ricostruzione a colori delle sculture antiche, parcocolosseo.it.

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